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Bruxelles chiama Roma sul super fondo “Safe” da150 miliardi per la Difesa

Giorgia Meloni non ha escluso la possibilità di fare richiesta ai fondi

di Gianluca Martucci -


A Bruxelles è partita l’ultima chiamata della Commissione europea sui fondi dello strumento “Safe”: Il “super fondo” per la difesa proposto lo scorso marzo per dare sostanza al piano di riarmo europeo, mette a disposizione degli Stati membri fino a un massimo di 150 miliardi di euro da investire per finanziare un aumento delle capacità produttive, la disponibilità di prodotti nel settore della difesa e l’interoperabilità tra i sistemi d’arma utilizzati dai 27 Paesi dell’Unione europea.

Il rischio però, come riferisce una fonte a Bruxelles, è che sia sottoutilizzato in virtù della sua scarsa appetibilità. Poco o quasi nulla è cambiato da quando la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato a fine giugno che sono 10 i Paesi che hanno fatto richiesta.
Tant’è che palazzo Berlaymont ha scelto la via della lettera per chiedere agli Stati di manifestare interesse sulla misura in cui utilizzare gli strumenti del Safe. Le capitali sono chiamate entro il 29 luglio – a due mesi dall’entrata ufficiale del regolamento europeo – a comunicare alla Commissione la quota di prestiti che vogliono richiedere.

Fondo Safe come funziona e cosa significa per l’Italia

È arrivato il momento per l’Esecutivo europeo di ragionare numeri alla mano e cominciare a rivolgersi ai mercati per l’emissione dei titoli che finanzieranno il Safe. Entro il 30 novembre gli Stati che hanno fatto richiesta saranno chiamati a elencare le attività e i prodotti in cui vogliono investire attraverso il Safe.
In teoria si tratta di un’opportunità ghiotta per gli Stati membri che non possono vantare una tripla A sulle loro obbligazioni. L’occasione è d’oro in particolare per Bulgaria, Grecia, Ungheria e Italia, che sui mercati finanziari non presentano la lettera “A”.

Giorgia Meloni in primis, non ha escluso del tutto la possibilità di fare richiesta di accesso ai fondi dello strumento finanziario nato a Bruxelles. Il Ministero delle Finanze è alle prese con la valutazione d’impatto sui conti pubblici di un eventuale ricorso allo strumento, considerando i costi più contenuti dei tassi di interesse dei titoli europei. Da Roma, ci si aspetta un segnale chiaro, e si spera positivo, visto che il governo italiano non ricorrerà alla sospensione delle regole europee sul limite del deficit per finanziare la Difesa direttamente con le risorse dei contribuenti, come la stessa Commissione europea ha proposto alle capitali nell’ambito del piano di riarmo.

I prestiti del Safe possono essere concessi per una durata di 45 anni. Formalmente possono essere richiesti fino al 31 dicembre 2030, ma la Commissione europea vuole utilizzarli per dare impulso al progetto di costruire un’industria della difesa “made in Europe”. In quest’ottica il regolamento europeo fissa una serie di condizioni per l’accesso ai prestiti. Per gli appalti congiunti il Safe finanzia solo progetti che coinvolgono uno o più 27 Stati Ue, l’Ucraina, gli Stati dello Spazio economico europeo – Svizzera, Liechtenstein, Norvegia e Islanda – e i Paesi con cui l’Unione europea ha una collaborazione nel settore della Difesa (Regno Unito, Sud Corea, Giappone, Macedonia, Albania e Moldova.

Il fondo Safe non finanzierà le armi o i sistemi in cui il valore delle componenti fabbricate fuori dall’Ue supera il 35% del costo finale. Il finanziamento di società controllate da Paesi extra-Ue è possibile, ma solo dopo una procedura di screening. Safe non finanzierà gli acquisti laddove ci saranno restrizioni all’uso e all’adattamento per i prodotti più strategici come i missili e i sistemi di difesa aerea, i droni di più grandi dimensioni e abilitatori strategici come i mezzi per il rifornimento in volo dei caccia.
La Commissione stima che le richieste degli Stati possano portare a mobilitare tra i 75 e 100 miliardi dello strumento. È verosimile che Germania, Danimarca, Lussemburgo, Svezia e Paesi Bassi non presenteranno richiesta, visto la tripla A assegnata ai loro titoli di Stato. Per altri Paesi le condizioni di ammissibilità per accedere ai prestiti sono eccessivamente restrittive e penalizzano i contratti già in corso con le società di Stati extra-Ue.


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