Cultura & Spettacolo

Parlare di cibo al teatro e al cinema

di Michele Enrico Montesano -


Čechov sosteneva che per rendere tutto più realistico, a Teatro come nella vita, fosse necessario inserire dei riferimenti al cibo. Per lui, anche a tavola, consumando pietanze, si finisce a parlare di cibo. La letteratura è intrisa di riferimenti gastronomici. Si pensi a Marcel Proust in All’ombra delle fanciulle in fiore, dove scrive: “seduti sull’erba, svolgevamo il nostro pacchetto di panini e di paste. Le mie amiche preferivano i panini e si stupivano di vedermi mangiare soltanto una pasta alla cioccolata, goticamente istoriata di zucchero, o una crostatina all’albicocca. Perché, con i panini di formaggio di Chester e d’insalata, nutrimento ignorante e nuovo, io non avevo nulla da dire; ma le paste erano istruite, le crostate erano chiacchierine”.

Il cibo a Teatro e… la compagnia

Secondo l’antropologo Richard Wrangham, l’uomo divenne tale nel momento in cui, nella preistoria, si passò dal nutrirsi per sopravvivere al mangiare per piacere e cultura. Preparare cibo e condividerlo sono tratti antropologici ancestrali che differenziano la nostra specie dalle altre. Basti pensare che la parola compagnia deriva dal latino cum panis ossia la persona con la quale si divide il pane. Compagnia è anche il termine con cui si indica un gruppo teatrale di professionisti. Pensare quindi che il cibo, e la cultura gastronomica, non influenzino anche il nostro modo di pensare e di parlare è un errore.

Gli americani e gli inglesi – per esempio – si riferiscono spesso ai francesi con il termine dispregiativo di frog (rana) poiché questi ultimi consumano un animale considerato per loro non commestibile. E anche in Pulp Fiction, dove Vincent (John Travolta) e Jules (Samuel Jackson) deridono il modo in cui i francesi chiamano il quarto di libbra con formaggio: “royale con formaggio”. Qui il cibo diventa un terreno di scontro e di divergenze non soltanto gastronomiche ma anche culturali e sociali.

Secondo l’antropologa Mara Mabilia l’integrazione razziale passa anche attraverso l’integrazione culinaria. Nel cinema, i fratelli Lumière, alla prima proiezione cinematografica pubblica al Grand Café del Boulevard des Capucines di Parigi, inserirono Le Repas de bébé, dove un piccolo Lumière veniva imboccato dai genitori. Da quel momento in poi, il cibo diventerà un archetipo onnipresente nella settima arte, un modo di leggere la realtà e i costumi dell’epoca. Come in Pane Amore e Fantasia di Comencini, nel dialogo tra il maresciallo Antonio Carotenuto e il contadino: «Che te magni?» «Pane, marescià!» «E che ci metti dentro?» «Fantasia, marescià!». In quattro battute, un lucido spaccato del dopoguerra. L’attore Enrico Inserra ha detto: “Quando guardo un film che mi piace è come quando mangio uno dei miei piatti preferiti; sto in silenzio, nel mio mondo, e spero che quel momento non finisca mai!”. Quante volte ci gustiamo un film?


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