Il caso Raoul Bova: intrigo di audio e veleni, da Ceretti a Corona
C’è un volto, uno solo, che fin dall’inizio non ha mai cambiato posizione in questa intricata vicenda che è al centro delle cronache italiane da qualche giorno: quello dell’attore Raoul Bova, presentato dalla stessa magistratura come parte lesa, vittima di un possibile reato che ha a che fare con la violazione della privacy, la ricettazione e, forse, la più grave delle ipotesi: un tentato ricatto.
Tutto comincia da alcuni messaggi e audio compromettenti, pubblicati sul blog di Fabrizio Corona e riguardanti la relazione, mai resa pubblica, tra l’attore e la giovane modella Martina Ceretti. I contenuti hanno un tono personale, intimo, e finiscono sotto la lente d’ingrandimento della Procura di Roma, che apre un fascicolo per la possibile tentata estorsione. Ma chi ha fornito quei file? Chi ha agito per finalità giornalistiche, chi per vendetta, chi per tornaconto personale?
Tra Raul Bova e Ceretti, la versione di Monzino
“Non sono l’autore dei messaggi”, afferma Federico Monzino, pr milanese 29enne, che si muove in quell’ambiguo confine tra affetto e complicità nei confronti di Ceretti. È lui ad aver inoltrato le chat e gli audio a Corona. Lo conferma il suo legale, Sirio Serafinelli, che precisa come il suo assistito sia stato ascoltato ma come testimone. Monzino, però, nega di aver inviato personalmente i messaggi a Raoul Bova, prendendo le distanze da qualsiasi accusa diretta di coinvolgimento attivo nel tentato ricatto. E precisa: “Le chat le ho inoltrate solo a Corona. E Martina era al corrente”. Il suo telefono è stato sequestrato dalla Polizia Postale di Milano, che sta cercando di ricostruire la catena del passaggio dei file. Chi ha avuto accesso al telefono di Ceretti? È stato Monzino, come lui stesso sostiene, a condividere i contenuti con Corona, o è stato Corona ad agire in autonomia, dopo che li avrebbe sottratti in modo illecito?
Ceretti: vittima o complice?
Martina Ceretti, la giovane modella al centro del caso estivo e che grazie ad esso è stata colpita da improvvisa e immeritata (cercata?) notorietà, adesso è sparita dai social, non risponde più ai messaggi e risulta irraggiungibile anche da Monzino, che dichiara di essere preoccupato per lei. In uno degli ultimi post prima di chiudere i suoi profili, accusava Corona di avere drogato Monzino e di essersi inviato da solo, dal suo smartphone, le chat e l’audio privato con Bova. Una “denuncia” pesante, che lascia spazio a due ipotesi estreme e inconciliabili: Ceretti ha partecipato consapevolmente alla cessione del materiale (come sostengono Corona e Monzino), oppure è stata manipolata e tradita, il che trasformerebbe la sua posizione da complice ad altra vittima.
Il ruolo di Fabrizio Corona
Ma Fabrizio Corona nella vicenda ricopre il ruolo del cronista, del ricettatore o del regista? Di certo attorno alla sua figura ruotano tutti i sospetti e solo i magistrati potranno rispondere alla domanda. Egli ha pubblicato il materiale sul suo blog, lo ha valorizzato mediaticamente, ne ha fatto uno “scoop”. Innegabile. Ma come ha ottenuto le informazioni? Corona afferma che Monzino gli ha girato tutto “spontaneamente”, con il consenso di Martina, e che il suo scopo era solo quello di far emergere l’immagine della modella, dandole visibilità. Nulla di illecito, dice: tutto dentro i margini del diritto di cronaca.
Diritto di cronaca che, come sa qualsiasi giornalista, deve rispondere ai tre classici quesiti: interesse pubblico, verità putativa e continenza. La relazione Bova-Ceretti risponde a questi tre criteri? La Procura ha qualche dubbio: Corona rischia l’iscrizione sul registro degli indagati almeno per la presunta ricettazione dei file. Il suo smartphone è stato sequestrato in Sardegna, dove si trovava nei giorni successivi alla pubblicazione. Gli inquirenti stanno scandagliando i metadati, le trascrizioni, i backup, alla ricerca di una prova che confermi, o smentisca, la versione di uno dei tre protagonisti.
Raoul Bova, Ceretti, Monzino: un triangolo tossico
Il caso si presenta come un labirinto emotivo, digitale e legale. Bova non ha mai replicato pubblicamente, ha affidato tutto ai suoi legali e denunciato una violazione grave della sua privacy. La Ceretti resta una figura opaca: inizialmente presente, poi accusatrice, infine assente. Monzino è un personaggio contraddittorio: da un lato dice di aver inoltrato i file per amore, per aiutare la sua “Marti”, e dall’altro prende le distanze appena il caso esplode. Nel frattempo, in un’intervista telefonica, ammette un rapporto affettivo “non ufficiale” con Martina, dicendo: “Non siamo solo amici. C’è un legame più profondo”. Corona, infine, continua a oscillare tra la maschera del giornalista (ma è iscritto all’ordine?) e quella del professionista dello scandalo, in un film già visto: quello del confine labile tra informazione e spettacolarizzazione.
Le domande che restano
Ma chi ha avuto accesso per primo al materiale compromettente? Ceretti ha davvero dato il consenso? Monzino ha agito da solo o è stato manipolato? Il materiale è stato usato per chiedere qualcosa a Bova o solo per danneggiarlo pubblicamente? E Corona: ha ricevuto, diffuso, o orchestrato tutto dall’inizio? Fino a quando non sarà fatta piena luce su queste domande, l’unica certezza rimane una: Raoul Bova è stato esposto pubblicamente, senza consenso, alla gogna di un’epoca in cui la reputazione si può distruggere con un clic. Ed è questo, al di là di ogni ipotesi di reato, il danno più grave.
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