Nel libro di Domenico Vecchioni la Seconda Guerra Mondiale “sconosciuta”
Intervista all'autore del nuovo libro “Eventi straordinari della Seconda Guerra Mondiale” (LEG Edizioni, 2025)
Nel suo libro “Eventi straordinari della Seconda Guerra Mondiale”, lo storico e diplomatico Domenico Vecchioni porta alla luce una serie di episodi poco noti del secondo conflitto mondiale: operazioni dimenticate, misteri irrisolti, atti di eroismo silenzioso e zone grigie della memoria collettiva. Attraverso oltre venti capitoli ricchi di dettagli e fonti documentate, Vecchioni ci guida tra le pieghe più sorprendenti e meno raccontate della guerra. Lo abbiamo intervistato per approfondire alcuni dei casi più emblematici.
L’intervista
Nel suo libro lei dedica un capitolo al bombardamento di Bari del 2 dicembre 1943, definito da alcuni storici “la seconda Pearl Harbor”, per l’entità dei danni e la tragedia taciuta. Perché, secondo lei, questo episodio è rimasto così a lungo fuori dalla memoria pubblica, nonostante il coinvolgimento di armi chimiche e l’enorme numero di vittime?
Domenico Vecchioni: «Il bombardamento del porto di Bari fu un disastro umanitario che mostrò l’inadeguatezza degli americani nel gestire le armi chimiche. La nave ausiliaria John Harvey (classe Liberty), in effetti, trasportava tonnellate di iprite (gas mostarda), era in attesa di entrare nel porto e non era stata presa alcuna misura di sicurezza per una missione che doveva rimanere segreta. A cosa serviva quell’inatteso carico? A rispondere ai tedeschi nell’eventualità Berlino avesse deciso di far ricorso – come si cominciava a paventare – alle armi chimiche. Allo stesso tempo il bombardamento tedesco fu una debacle militare per gli Alleati, che avevano colpevolmente lasciato senza protezione il porto, diventato così facile bersaglio di 105 bombardieri tedeschi Junker 88 A4. E’ certo quindi che si è sempre cercato da parte alleata di minimizzare le responsabilità del tragico evento: umanitarie (duemila morti, comprese le 628 vittime del gas “amico”) e strategiche (il fallimento dell’offensiva lanciata dal generale Mark Clark nel gennaio 1944 per sfondare,la linea Gustav, fu in gran parte causato proprio dalla chiusura del porto di Bari- inagibile per diverse settimane dopo il bombardamento -, che lo privò di indispensabili approvvigionamenti)».
Un altro episodio paradossale che lei ricostruisce è il bombardamento di Tsuchizaki, avvenuto intorno alla mezzanotte del 14 agosto 1945, poche ore prima della resa ufficiale del Giappone. Centinaia di civili persero la vita, nonostante fosse chiaro che la guerra era finita. Cosa ci dice, oggi, questo evento sulla logica che guidava ancora le operazioni militari nelle ultime ore del conflitto?
Domenico Vecchioni: «È vero che il bombardamento avvenne prima che il Giappone si arrendesse formalmente e quindi le operazioni militari programmate dovevano in teoria seguire il loro corso. Va detto, tuttavia, che era già chiaro a tutti che dopo il diluvio atomico su Hiroshima e Nagasaki, Tokyo si sarebbe presto arresa e senza porre condizioni. La stessa agenzia di stampa ufficiale Domei aveva annunciato che era questione di ore. Si sarebbe potuto forse, se non annullare, almeno “sospendere” l’operazione in attesa degli eventi. Perché non fu fatto? Perché non fu risparmiato alla già martoriata terra giapponese il lancio di 7630 bombe da 100 chili, 4687 da 50 chili e la morte di 250 civili? Non si sa con esattezza. Ineluttabilità di certi ingranaggi militari che, una volta avviati, è difficilissimo fermare? Ottusa logica militarista per cui gli ordini sono ordini e l’ordine era di bombardare fino all’ultimo minuto di guerra?Oppure, nella prospettiva di una guerra fredda in qualche modo in nuce, si voleva impedire all’Unione Sovietica d’impossessarsi di quelle raffinerie, dopo che Mosca, il 2 agosto 1945, aveva dichiarato guerra al Giappone? Non si sa con esattezza. Non si è parlato molto nel corso degli anni dell’inutile bombardamento di Akita. Uno dei tanti interrogativi della 2° guerra mondiale rimasti senza risposta».
Il “Lady Be Good”, disperso nel deserto libico e ritrovato anni dopo, è un simbolo della solitudine della guerra, vissuta anche lontano dai fronti visibili. Cosa l’ha colpita di più in questa vicenda e perché ha scelto di raccontarla?
Domenico Vecchioni: «Il mistero che per anni ha avvolto la sorte dell’equipaggio, svanito nel nulla, l’avversità del destino nei confronti di un gruppo di giovani ed entusiasti aviatori alla loro prima missione di guerra. A causa di una tempesta di sabbia, essi smarrirono la rotta consumando tutto il carburante e poi, ritrovatisi senza troppi danni nel deserto, presero, ancora una volta, la direzione opposta a quella che li avrebbe condotti al relitto dell’aereo – rimasto miracolosamente quasi intatto – dove avrebbero trovato la salvezza:provviste e la radio di bordo».
Il cosiddetto “bombardamento di Los Angeles” del febbraio 1942 è una delle vicende più curiose del libro: una notte di panico senza nemici, con le batterie antiaeree americane che sparano nel vuoto. Quanto pesa la paura, secondo lei, nella distorsione della percezione durante i conflitti?
Domenico Vecchioni: «Dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour, il 7 dicembre 1941, gli abitanti della costa occidentale statunitense cominciarono a non dormire più sonni tranquilli. E se i giapponesi avessero tentato di attaccare una delle grandi città costiere della California? Se avessero ripetuto l’exploit di Pearl Harbour? Ora, che la paranoia anti-giapponese colpisse la popolazione, lo si può anche capire. La gente comune, in effetti, non sapeva che Tokyo non disponeva di un apparato militare tale da poter minacciare il suolo americano. Sorprende, invece, che analoga paranoia si fosse diffusa anche nei comandi militari della zona costiera, emotivamente predisposti a respingere un attacco giapponese. Il Great Los Angeles Air Raid si può spiegare solo alla luce di questi due elementi: la generale paranoia anti-giapponese e l’impreparazione della DCA americana che, presa dal panico, sparò 1430 proiettili pesanti contro…. dei palloni sonda atmosferici spostati dal vento, scambiati per minacciosi aerei nemici!Con tutta evidenza la macchina della difesa costiera non era stata ancora oliata a dovere. Paura e incompetenza possono costituire un cocktail micidiale».
Angel Sanz Briz, il diplomatico spagnolo che salvò centinaia di ebrei ungheresi, è una figura che incarna la resistenza morale all’interno della diplomazia. Che valore attribuisce alla riscoperta di questi “giusti” spesso ignorati dalla grande storiografia?
Domenico Vecchioni: «Per diverso tempo, sull’onda emotiva suscitata dalla Shoa, l’attenzione generale si concentrò più sugli “sterminatori” e meno sui “salvatori”, alcuni dei quali peraltro furono individuati solo molti anni dopo la guerra. Uno di questi fu appunto Angel Sanz Briz, giovane diplomatico responsabile della Legazione spagnola a Budapest. Sanz Briz mise in piedi un efficiente sistema di salvataggio degli ebrei sefarditi (cioè di lontane origini spagnole), che poi estese anche ai non sefarditi. Quando Sanz Briz dovette lasciare Budapest perché il governo spagnolo rifiutava di riconoscere il nuovo regime dei nazisti ungheresi (Nyilas), la Legazione sembrava destina alla chiusura. Ed è a questo momento che intervenne il nostro Giorgio Perlasca, fingendosi diplomatico spagnolo, continuò l’opera di salvataggio iniziata da Sanz Briz. Il diplomatico spagnolo non volle mai enfatizzare la propria attività di salvataggio. La considerava come il suo lavoro e il suo dovere istituzionale. Era un diplomatico ed eseguiva le istruzioni del governo. Ma lui andò ben oltre le istruzioni ed è per questo motivo che lo Yad Vashem lo ha riconosciuto “Giusto tra le Nazioni”».
Il capitolo dedicato al “Salon Kitty”, bordello utilizzato dalle SS per attività di spionaggio e ricatto, mostra un volto oscuro e perverso del regime nazista. Crede che episodi come questo aiutino a capire quanto il potere totalitario agisse anche attraverso il controllo degli istinti più intimi?
Domenico Vecchioni: «Certamente. Secondo Reinhard Heydrich, capo dei serizi di sicurezza del Terzo Reich(SD), ideatore dello spionaggio al Salon Kitty, “era più facile interrogare un uomo in posizione orizzontale che in posizione verticale”…Malgrado la morale nazista fosse tesa piuttosto all’ideale della solida famiglia ariana, sopportando male il mondo della case chiuse, si poteva tuttavia ben fare un’eccezione per il bene del Terzo Reich. La casa di Madame Kitty (al secolo Catharina Zammit) fu così riempita di microfoni e la cantina fu trasformata in un centro di ascolto delle esternazioni degli illustri ospiti. Salone frequentato da personaggi di alto livello, come i nostri ambasciatori a Berlino e dallo stesso Galeazzo Ciano, che non mancava mai di fare visita alla sua amica Kitty, quando si trovava nella capitale tedesca. Per lui era disponibile uno speciale “catalogo” che comprendeva una ventina di ragazze giovani, belle, colte e poliglotte. Tutte ausiliarie femminili della Gestapo. Ben addestrate a far parlare “gli uomini in posizione orizzontale”!».
Ogni capitolo del suo libro è costruito come un racconto autonomo, ricco di ritmo e fonti precise. Ha scelto consapevolmente questo formato breve per rendere la storia più accessibile, o è stata una necessità narrativa per restituire la varietà degli eventi straordinari?
Domenico Vecchioni: «La prima…Ho cercato di rendere la lettura di queste “storie” accattivante e appunto accessibile ai più, secondo la tradizione della buona divulgazione storica. Far leggere, cioè, la Storia anche a chi normalmente se ne disinteressa».
Conclusione
“Eventi straordinari della Seconda Guerra Mondiale” è una raccolta di storie vere che sorprendono, interrogano e spesso commuovono. Domenico Vecchioni invita il lettore a guardare oltre le cronache ufficiali, scoprendo come il volto della guerra si nasconda anche nei dettagli trascurati, negli atti dimenticati e nei silenzi più eloquenti della Storia. Ringraziamo l’ambasciatore Vecchioni per la piacevole conversazione.
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