Suicidio Argentino, sette indagati a Messina
La Procura indaga sui più diversi livelli di responsabilità nel carcere, il 12 agosto l'autopsia del giovane
Sette indagati dalla Procura della Repubblica di Messina per la morte di Stefano Argentino, il 27enne reo confesso dell’omicidio della collega di Università, Sara Campanella avvenuto per strada il 31 marzo scorso, che si è suicidato nel carcere di Messina Gazzi il 6 agosto. La Procura ha notificato sette avvisi di garanzia in vista dell’autopsia sul corpo del ragazzo. L’incarico sarà conferito il 12 agosto al medico legale Daniela Sapienza e in quella occasione gli indagati potranno nominare i propri consulenti.
I sette indagati
Ai più diversi livelli di responsabilità nel carcere di Messina i sette indagati. Sono la direttrice e la vice direttrice del carcere di Gazzi, l’addetto ai servizi trattamentali, lo psichiatra e gli psicologi che hanno avuto in cura il 27enne.
L’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore Annamaria Arena, vuole accertare eventuali responsabilità nel suicidio di Stefano che, mercoledì 6 agosto, si è impiccato in carcere.
Il ventisettenne, che aveva manifestato più volte la volontà di togliersi la vita, era stato sottoposto fino a due settimane prima della sua morte a un regime di sorveglianza. Poi 15 giorni dopo era stato trasferito in detenzione ordinaria.
Un’inchiesta a tutto campo
Sottolinea l’ampiezza dello spettro di indagine il legale del giovane. “Sette indagati è già presagio di plurime responsabilità, probabilmente fra loro correlate”. Così l’avvocato Giuseppe Cultrera, legale di Stefano Argentino, commenta la notifica da parte della Procura di Messina di 7 avvisi di garanzia per il suicidio del giovane avvenuto nel carcere Gazzi il 6 agosto.
Le sue successive parole sono un atto di accusa nei confronti di un sistema carcerario che finora ha trascurato alcune forme suicidiarie che probabilmente potevano essere evitate.
“Al momento è troppo presto e si possono fare soltanto supposizioni – aggiunge – auspico soltanto che, almeno stavolta, le indagini siano approfondite e possano portare a risultati concreti. Stefano avrebbe dovuto essere rinchiuso in una Rems o in un istituto a custodia attenuata. Il suo stato mentale, venuto a galla anche dalle indagini degli inquirenti, non era compatibile con la custodia in carcere”.
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