Lista Zaia: in Veneto, il vento della politica soffia ancora una volta da Nord-Est. Mentre il calendario avanza e non c’è ancora la data fissata per le regionali (l’ipotesi è il 16 o 23 novembre), il governatore Luca Zaia – all’ultimo mandato dopo 15 anni di potere -, rimette sul tavolo la mossa che può decidere la campagna: una lista civica con il suo nome. Non un nuovo partito, non un’operazione di rottura, ma un “booster” elettorale capace, nelle intenzioni, di spingere il centrodestra oltre la soglia del 60% dei voti.
È il traguardo magico imposto dalla legge elettorale veneta: superarlo significa più seggi in consiglio e una maggioranza blindata. Per Zaia, la questione è aritmetica e politica insieme. Aritmetica, perché il centrodestra oggi non è certo di superare quel margine con le sole liste di partito. Politica, perché il presidente uscente vuole garantire continuità alla sua linea amministrativa, lasciando in eredità una squadra forte e capace di portare avanti dossier come l’autonomia. Non si ricandida, ma non intende uscire di scena come spettatore passivo. Il progetto è semplice nella formula e complesso nelle conseguenze. La “Lista Zaia” drenerebbe voti trasversali: autonomisti, moderati, elettori disillusi del centrosinistra, astensionisti. Voti che difficilmente andrebbero alla Lega “salviniana” o a Fratelli d’Italia, ma che in un contenitore civico col marchio Zaia possono confluire senza esitazione. Il risultato, nelle simulazioni, è una vittoria larga, forse larghissima.
I DUBBI DI MELONI
Per Giorgia Meloni, il vantaggio immediato è evidente: vittoria sicura in Veneto, immagine di coalizione compatta, la possibilità di rivendicare il risultato come prova di maturità politica del centrodestra. E in più, con una maggioranza ampia, Fratelli d’Italia incasserebbe comunque un numero maggiore di seggi rispetto a un risultato “normale”. Ma il rovescio della medaglia è altrettanto chiaro. Una vittoria costruita sulla forza personale di Zaia rischia di rafforzare la Lega sul territorio, proprio mentre FdI sta cercando di radicarsi nel Nord-Est dove alle Europee ha conseguito il 37,57%.
Il governatore uscente, anche senza incarichi formali, resterebbe il riferimento per una parte consistente dell’elettorato veneto, congelando per anni le ambizioni di espansione di Fratelli d’Italia nella regione. C’è poi un messaggio politico più sottile. Se il modello “lista civica del presidente” funziona in Veneto, potrebbe diventare un precedente. Altri governatori del centrodestra, specie quelli della Lega, potrebbero rivendicare lo stesso schema, riducendo lo spazio di crescita diretta di FdI e consolidando piccole roccaforti personali dentro la coalizione. Meloni, dunque, è di fronte a una scelta tattica. Opporsi apertamente alla lista significherebbe aprire un fronte di scontro con uno dei leader più popolari d’Italia, rischiando di incrinare l’immagine di unità del centrodestra a pochi mesi da un voto importante. Accettarla, invece, significa concedere a Zaia un’uscita di scena in grande stile, ma anche regalargli una rendita di posizione che durerà ben oltre ottobre.
DERBY SALVINI-ZAIA
Per questo a Roma la linea che prevale sembra quella della “collaborazione condizionata”: via libera alla lista, ma in cambio di garanzie precise. In primis, assessorati di peso nella prossima giunta – infrastrutture, sviluppo economico, sanità – e visibilità garantita per i candidati di Fratelli d’Italia. In parallelo, una campagna mirata a rafforzare il brand del partito e il legame con Meloni, così da rivendicare il successo come frutto di tutta la coalizione. Sul terreno veneto, intanto, la tensione è palpabile.
La scelta del candidato presidente, che dovrà essere espressione della Lega ma gradito a Zaia e non ostile a Salvini, è il nodo politico delle prossime settimane. Perché la “Lista Zaia” può portare la vittoria, ma se la faccia in cima alla scheda è percepita come figura di rottura, l’effetto traino rischia di attenuarsi. L’autunno elettorale del Veneto si gioca così, in equilibrio tra numeri e leadership. Zaia punta a consegnare il testimone senza disperdere il patrimonio politico costruito in tre mandati. Meloni e FdI cercano di capitalizzare il successo senza restare nell’ombra. Salvini deve tenere insieme la sua Lega e il suo governatore più popolare. Insomma, dietro i sorrisi di facciata, il derby interno al centrodestra è già cominciato. E il Veneto, stavolta, rischia di diventare laboratorio e specchio dei futuri equilibri nazionali nel centrodestra.