La riunione sull'accordo di programma interistituzionale per la piena decarbonizzazione dellex Ilva di Taranto, tenutasi al ministero delle Imprese e del Made in Italy con il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso ed il governatore della Regione, Puglia, Michele Emiliano, Roma 12 agosto 2025. ANSA/FABIO FRUSTACI
Ultimo tango a palazzo Piacentini: una giornata intesa, campale, al Mimit, per fare il punto e trovare l’accordo sul futuro dell’ex Ilva di Taranto che passa chiaramente dalla decarbonizzazione. Ma, dopo tanti confronti e non senza tensioni, l’intesa è finalmente arrivata: tutte le amministrazioni, locali e nazionali, hanno sottoscritto l’intesa per la decarbonizzazione dell’area ex Ilva. E no, non è stato per niente facile arrivarci.
Ex Ilva, il giorno della decarbonizzazione
La lunga, e caldissima, giornata di lavoro al Mimit sul futuro di Taranto era iniziata alle 11 e 30 ed è proseguita a strappi e a “lunghe mediazioni politiche” che hanno fatto riprendere i lavori, interrotti nel primo pomeriggio, intorno alle 18. A distanza di pochi minuti è giunta la notizia più attesa e cioè quella della firma sull’accordo interistituzionale per la decarbonizzazione degli impianti Ex Ilva. Un’intesa che prevede, tra le altre cose, anche ristori ambientali e iniziative a tutela della salute dei territori coinvolti nel progetto.
L’impegno di Emiliano: “Chiudere ex Ilva? Una catastrofe”
Era stato il governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano, a introdurre l’obiettivo della giornata di lavori. Oltre la retorica e oltre gli steccati politici: “In buona fede e leale collaborazione con il governo possiamo dare un futuro a una struttura industriale strategica per il paese, per la Puglia e per Taranto stessa. Mandare a casa 18mila persone facendo chiudere la fabbrica per implosione, attraverso condizioni impossibili da soddisfare, è una catastrofe che la città, la Puglia e il Paese non possono sopportare”. Poche ore dopo l’ingresso, le solite fonti beneinformate avevano già provveduto a far sapere in giro che proprio Emiliano sarebbe stato disposto a mettere la firma sull’accordo per Taranto, anche subito, anche a nome del Pd. Garantendo, così, agibilità politica al progetto che mira al rilancio della siderurgia italiana facendo del capoluogo jonico il fulcro dell’attività dell’ex Ilva. Promessa mantenuta, quella di Emiliano dal momento che, subito dopo la firma, tra i primi a esultare, a Taranto, è stata proprio la delegazione locale dem che ha parlato di “svolta clamorosa”.
La richiesta di Urso, la posizione dei sindacati
Una presa di coscienza, in fondo, è quello che cercava anche il ministro all’Industria, Adolfo Urso, che ha aperto i lavori facendo affidamento proprio al senso di responsabilità dei suoi interlocutori: “Mi appello alla responsabilità di ciascuno nel comprendere la necessità di dare oggi un segnale positivo agli investitori che devono valutare se fare una offerta e che tipo di offerta per l’ex Ilva. Per questo ci auguriamo che l’intesa sia sottoscritta”, ha detto al tavolo dei lavori. E ha aggiunto: “Un’intesa ci serve a dire agli investitori che siamo tutti d’accordo”. Un’apertura che Urso ha ribadito rivolgendosi ai sindacati a cui ha spiegato che solo “insieme possiamo farcela”. La posizione delle parti sociali, però, è stata netta fin dall’inizio. Il piano c’è, prevede tre forni elettrici a Taranto e uno a Genova oltre ai quattro Dri nel golfo jonico che saranno alimentati dal rigassificatore. E quello va portato avanti, fino in fondo. Così come ha spiegato il segretario Fim-Cisl Ferdinando Uliano entrando a Palazzo Piacentini: “Ribadiamo la contrarietà ad alternative al piano che abbiamo sostenuto: se lo smontano, vedrà la contrarietà del sindacato” dal momento che “creerà problemi occupazionali enormi con impatti che abbiamo stimato in oltre 7mila unità”. Non si tratta, di certo, di un’obiezione banale dal momento che, a fronte dell’opposizione istituzionale e locale al rigassificatore, nei giorni scorsi era stato lo stesso ministro Adolfo Urso a ventilare l’ipotesi di trasferire il polo Dri al porto di Gioia Tauro, in Calabria.
La reazione degli ambientalisti
Questo è uno dei nodi irrisolti della vicenda che ha contribuito ad alimentare la tensione quando, a Roma proprio mentre si affinavano gli ultimi dettagli per l’intesa sulla decarbonizzazione degli impianti ex Ilva, è rimbalzata la notizia secondo cui le associazioni ambientaliste tarantine avrebbero fin da subito proposto ricorso al Tar contro l’Aia, l’autorizzazione integrata ambientale. Contestualmente, le associazioni avrebbero presentato al Prefetto di Taranto un elenco di controproposte che vanno dalla bonifica delle aree fino alla riforestazione, un programma di lavori socialmente utili per il verde pubblico e l’efficientamento energetico connesso agli interventi sugli edifici pubblici.
Dri rimandato a settembre
Nell’accordo sulla decarbonizzazione dell’ex Ilva le parti hanno deciso di riaggiornarsi dopo l’estate. Hanno rimandato a settembre, dopo il 15, la spinosa questione del preridotto e del Dri. Per il momento, nella bozza, non ci sono riferimenti ad accordi già presi. Governo, Regione e enti locali, come si legge nel documento “si impegnano a convocare una nuova riunione del tavolo in data successiva al 15 settembre – termine ultimo per la presentazione di offerte vincolanti – per esaminare le prime evidenze della Procedura e valutare la possibile localizzazione degli impianti di preridotto (DRI) utili per l’approvvigionamento dei forni elettrici presso lo stabilimento ex ILVA di Taranto, a partire dall’impianto già previsto con il FSC (ex PNRR), qualora sia possibile assicurare il necessario approvvigionamento energetico“.