IN LIBRERIA – La Governante
Recensione de La governante, Csaba dalla Zorza (Marsilio, 2025)
A guardarla dall’esterno, la vita della protagonista sembra impeccabile: un lavoro prestigioso, un matrimonio solido, due figli, una casa elegante. Tutto al posto giusto, come in una vetrina ben allestita. Ma al compimento dei sessant’anni, questa donna decide di concedersi un regalo radicale: inseguire un desiderio taciuto, abbandonare ciò che ha per cercare altrove un senso diverso. Nel farlo, apre al lettore il proprio mondo interiore, rivelando frammenti di vita rimasti nascosti, come preziose porcellane custodite in un armadio chiuso a chiave.
La governante, romanzo di Csaba Dalla Zorza, narra questa storia affidandola alla voce del figlio, che presenta una figura quasi mitizzata: madre esemplare, moglie di facciata, donna in carriera impeccabile. Eppure, paradossalmente, il suo nome — Adele — viene rivelato tardi e senza particolare enfasi, come se restasse volutamente in ombra dietro il ruolo. La scelta di dettagli ricorrenti, come il rossetto lampone, sembra volerle dare spessore iconico, ma finisce per apparire un vezzo estetico più che un tratto rivelatore. Il controllo e il rancore dominano la sua caratterizzazione.
È una donna che misura la propria esistenza attraverso lo status: il matrimonio non come unione affettiva, ma come condizione necessaria per “essere”. I figli, descritti come perfetti ambasciatori di buona educazione e successo sociale, diventano estensioni della sua immagine più che individui autonomi. Dal punto di vista formale, il romanzo è ben scritto. Ma la trama scivola spesso in un terreno di luoghi comuni: la donna ricca e tradita, ossessionata dal decoro; le lezioni di bon ton disseminate tra un ricordo e l’altro; la famiglia “moderna” e open-minded come segno di prestigio più che di reale introspezione. Il romanzo tenta di toccare argomenti centrali: la condizione femminile, il peso delle aspettative sociali, il compromesso tra essere e apparire.
Tuttavia, lo fa attraverso una protagonista il cui privilegio economico e sociale la pone lontana dalle reali difficoltà di molte donne. Ciò rende difficile percepire come autentica la sua “rinuncia” o il suo “sacrificio”. Anche il tema della “bella famiglia” — con l’omosessualità accettata senza conflitti — appare più come una vetrina di apertura mentale che come un terreno di reale confronto o crescita. La governante non riesce a trasformare Adele in un’icona di forza o complessità, che rimane imprigionata nel ruolo che la stessa narrazione le costruisce addosso: un personaggio elegante, ben confezionato, ma che non lascia un segno. Un romanzo che si legge con facilità, ma che, nonostante il potenziale del tema, lascia la sensazione di un’occasione mancata.
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