Storie

Emozioni e politica? È quasi archeologia

di Redazione -


di Lorenzo Stella

Nonostante il titolo, il saggio di Stefano Pivato, in “Alla riscossa! Emozioni e politica nell’Italia contemporanea” (il Mulino, pag. 248, euro 18,00-12,99 e-pub) si concentra su un periodo – tra Rivoluzione francese, Risorgimento e Novecento – che su questo piano appare persino più lontano di quanto sia dal punto di vista cronologico. Viene analizzata un’epoca quasi opposta all’odierna, in cui la passione politica pare scemata e l’interesse per la sua emotività si esprime soprattutto come preoccupazione. A vedere quanto accadeva nei decenni e secoli scorsi, viene però da dire che il pericolo, per esempio di propaganda e manipolazione, l’abbiamo già corso e, forse, il confusionario calderone delle nostre vite mediatizzate e tecnologiche rende più difficile i processi top down conosciuti in passato.

Il mondo descritto da Pivato, anzi, ha quasi un sentore di archeologia. Opuscoli, comizi, inni sono ricordi polverosi, così come gli operai e contadini analfabeti cui si rivolgevano, le masse che socialisti, fascisti e cattolici si contesero con tutti i mezzi disponibili al tempo: sin dall’Illuminismo, poi con i moti risorgimentali, nelle grandi dittature del “secolo breve” e in democrazia.

Il libro è ampio, ricco. Consente di conoscere o riscoprire aneddoti come il “Discorso dell’Ascensione” in cui Mussolini, per la grandezza dell’Italia, promuoveva la chiusura delle osterie chiacchierone: un po’ come Umberto Eco stigmatizzava i social che danno voce agli “imbecilli”. Evidenzia paragoni stimolanti, per esempio tra i funerali di Enrico Berlinguer, per il cui effetto il Partito comunista ottenne la sua unica affermazione, superando la Dc, e di Carlo Giuliani, militante contro il G8 ucciso nel corso delle manifestazioni a Genova, la cui bara nel 2001 è avvolta in una bandiera della Roma, priva di riferimenti politici.

Pivato valorizza alcuni elementi sui quali si riflette meno e che invece è utile tenere a mente. Il colore, per esempio: dall’ambivalente rosso della passione e della paura, all’arcobaleno della pace; dal bianco e nero che si contrappongono nel mondo cattolico dopo Porta Pia (il secondo fu scelto dell’aristocrazia romana che rifiutava la presa) fino all’arancione, viola, rosa dei più recenti movimenti.

Che dire delle banali, solo in apparenza, questioni di look? L’“insignificante abito marrone” di Achille Occhetto segretario Pds fu additato come correo della sconfitta ad opera di Silvio Berlusconi, neopresidente di Forza Italia, cui certo non sfuggivano i segreti dell’outfit. La storia del guardaroba politico è amplissima: dai tempi dei sanculotti alla canottiera “populista” di Bossi, sostituita nella Lega dalle felpe di Salvini, fino ai gruppi extraparlamentari che dell’ineleganza fecero la loro divisa. “Ai cortei delle femministe”, rievoca una protagonista, “a nessuna saltava in mente di truccarsi o depilarsi”.

È l’epoca dell’eskimo nostalgicamente rievocato da Francesco Guccini. A musica e canzoni in politica, a proposito, Pivato dedicò una monografia nel 2005. E in questo libro ricorda un catalogo che parte idealmente col Nabucco di Verdi e comprende Francesco De Gregori, Ivano Fossati, John Lennon o gli U2, sostituti degli inni tradizionali, “naufragati sotto le macerie del muro di Berlino”.


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