Ambiente

Italia fragile per natura e incuria: ogni bomba d’acqua è emergenza

Frane, esondazioni, colate di fango: comanda il dissesto idrogeologico

di Ivano Tolettini -


In Italia basta un nubifragio perché si scateni il dramma. Non importa che sia estate o inverno, che la stagione porti caldo torrido o piogge insistenti: il risultato è sempre lo stesso. Frane, strade interrotte, fiumi che esondano, paesi travolti da colate di fango, persone disperse o inghiottite dall’acqua. È il dissesto idrogeologico a comandare, la vera malattia cronica della nostra nazione, e la prevenzione rimane la cenerentola, confinata a piani, buone intenzioni e conferenze stampa. L’ultimo caso è quello di Enna, dove il torrente Crisa, che è quasi sempre in secca, si è trasformato in una trappola mortale per un automobilista, travolto dalla piena improvvisa. Si chiamava Matteo Ciurca, aveva 40 anni, era di Leonforte ed era sposato. La sua auto è stata trascinata via come un giocattolo lunedì sera: il corpo è stato ritrovato a due chilometri di distanza, impigliato nella vegetazione, dopo ore di ricerche disperate. Una “bomba d’acqua”, come ormai si definiscono questi fenomeni estremi, ha trasformato un alveo silenzioso in una furia capace di inghiottire vite e speranze. Ma è un copione che si ripete da nord a sud, con impressionante regolarità.
SEMAFORI
Le allerte meteo ormai sono cronaca quotidiana. Lombardia, Veneto, Campania, Liguria (con 5 mila fulmini in 12 ore): arancioni, gialle, rosse, come semafori che lampeggiano senza soluzione di continuità. E a ogni allarme scattano ordinanze, chiusure di parchi, interdizioni di spiagge, pontili e sottopassi. È il segno di un Paese che si difende tappando falle, non costruendo solide difese. Perché la verità è che l’Italia è tra i territori più fragili d’Europa: montagne che frana dopo frana perdono consistenza; fiumi che da decenni non vengono regimati; coste erose da mareggiate sempre più violente. Il caso di Cortina e San Vito, da settimane in balia di una frana che mina la circolazione stradale, è emblematico. Non è soltanto questione di sfortuna o di meteorologia impazzita. Certo, i cambiamenti climatici accentuano le contraddizioni: si passa in poche ore da 40 gradi all’ombra a precipitazioni torrenziali che scaricano in un giorno l’acqua di un mese. Ma è la vulnerabilità del territorio, costruito e abitato senza una regia, a trasformare questi eventi in catastrofi. Quasi 8 Comuni su 10 sono a rischio idrogeologico, eppure gli investimenti strutturali sono stati rinviati di legislatura in legislatura, diluiti in mille rivoli burocratici. Il conto lo paghiamo sempre due volte. In termini umani, con le cronache nere di ogni estate e autunno. E in termini economici, con miliardi che escono per riparare i danni quando sarebbe bastato spenderne meno per prevenirli. La Protezione civile interviene con professionalità: i Vigili del fuoco salvano vite, i sindaci si arrangiano come possono, ma la macchina rimane emergenziale. Non preventiva. Eppure i dati sono chiari: ogni euro speso in prevenzione vale sei euro risparmiati in riparazione. Ma questo calcolo fatica a entrare nella politica, che preferisce spendere sul pronto intervento, perché visibile, tangibile, immediatamente spendibile anche sul piano mediatico. Una ruspa che libera una strada otturata dal fango fa più notizia di un argine rinforzato in tempo di sole. Così il paradosso si ripete: da una parte cittadini che vivono nella paura, dall’altra un Paese che continua a costruire in aree golenali, a trasformare torrenti in discariche a cielo aperto, a non manutenere boschi e versanti montani. In mezzo, l’Italia che conta i danni, piange le vittime e promette di cambiare. La vicenda del torrente Crisa, la chiusura dei parchi a Milano, le spiagge vietate a Napoli, le allerte diffuse dal Veneto alla Campania: sono tessere di un mosaico nazionale che racconta la stessa storia. Non basta più parlare di eventi eccezionali. Sono diventati la regola. E se la prevenzione non diventa sistema, l’Italia continuerà a essere un Paese fragile, condannato a vivere tra caldo estremo e piogge torrenziali, con il dissesto idrogeologico a scrivere le cronache del futuro. La natura ci mette alla prova, ma è l’uomo a rendere queste prove insuperabili. Perché l’acqua non ha colpe. È la nostra incuria a trasformarla in tragedia.


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