Economia

Ursula brinda all’accordo sui dazi che piace solo a Trump

Fuori il vino, confermati gli impegni in energia e investimenti si dovranno sborsare altri 40 miliardi per i chip: il salasso americano

di Giovanni Vasso -


Mille e non più mille: già, perché è arrivata la dichiarazione congiunta sull’accordo dei dazi Usa-Ue ma il “conto” pretesto dagli “amici” americani sale a intorno ai 1.400 miliardi di dollari. Eccolo, il prezzo da pagare affinché Ursula von der Leyen potesse trillar tripudio, malriposto, sull’americanissima X per una dichiarazione congiunta che è arrivata e che, insieme a qualche buona notizia, impone a Bruxelles un conto più salato del Mar Morto.

L’accordo sui dazi che piace solo a Trump

L’Unione giubila poiché ha strappato agli americani tariffe al 15% (anche) su auto e farmaci, gioisce perché Trump non ha imposto la cancellazione degli odiatissimi regolamenti digitali Dsa e Dma (bontà sua), gonfia il petto d’orgoglio per avere assicurato “le migliori condizioni possibile per le imprese europee”. Tranne per quelle dell’agroalimentare anzi: né il vino né i superalcolici sono rientrati nell’accordo sui dazi e si prevede una mazzata pesantissima per il settore che investirà, va da sé, pure l’Italia. Ursula tira dritto: l’Ue, spiega “è l’unico partner Usa al mondo con un tetto tariffario onnicomprensivo”. Ci ha fatto lo sconto comitiva. A cui aggiungere la “garanzia esclusiva di un limite ai dazi per i settori farmaceutico e dei semiconduttori”, un tetto ai dazi del 15% “per la stragrande maggioranza dei prodotti, comprese auto e medicinali” e “dazi zero-per-zero su prodotti come aeromobili, sughero e farmaci generici”, nonché un “impegno congiunto a ridurre ulteriormente i dazi”. L’importante è crederci. E lei, difatti, ci crede davvero quando scrive che la “posizione competitiva degli esportatori Ue” è “salvaguardata grazie al costante accesso al mercato statunitense, che vale il 20% delle nostre esportazioni” e che “milioni di posti di lavoro nell’Ue sono tutelati” mentre le relazioni transatlantiche sono state “rafforzate su tutta la linea”.

La faccia ce la mette Sefcovic

La baronessa von der Leyen, però, evita nel suo trillo gioioso su X di menzionare il prezzo che l’Europa dovrà pagare per “rafforzare su tutta la linea” le relazioni transatlantiche. Arrivare all’accordo sui dazi costa, e tanto. Si tratta di 1.390 miliardi, sull’unghia. Ursula, astuta come un cervo (ricordate, Amici miei?), fa la supercazzola sui social ma lascia che a metterci la faccia sia il povero Maros Sefcovic. Non può certo intestarsi un’altra, l’ennesima, sconfitta dopo aver trascinato un Continente in una guerra che (Trump dixit) Kiev non poteva vincere. Tocca all’avvocato Sefcovic tentare di far ingoiare all’opinione pubblica europea il salasso imposto dagli Usa e accettato da quella stessa Ue che, fino alla vigilia, assicurava di essere pronta e in grado di resistere a ogni assalto commerciale e di avere “gli strumenti utili” per farlo.

Conto salato

Il commissario Ue al commercio, in conferenza stampa, ha spiegato che Bruxelles ha confermato l’impegno a spendere 750 miliardi di dollari in materie prime energetiche americane. E, inoltre, ha ribadito che l’Ue investirà 600 miliardi nei settori chiave dell’economia statunitense. E dato che gli avanzavano spiccioli, l’Unione s’è pure impegnata a comprare chip americani per quaranta miliardi di dollari per farsi la sua intelligenza artificiale. In fondo, Nvidia dovrà pur dirottare altrove la produzione che non andrà (più) in Cina. Senza dimenticare, va da sé, le spese pazze di Zelensky che vuole comprare armi americane per 100 miliardi coi soldi degli europei. Se si confermasse pure questo, il conto per l’Ue salirebbe a 1.500 miliardi di dollari. Solo di spese dirette. Senza considerare quanto costeranno alle aziende, in termini economici e di mancati guadagni, le tariffe.

La speranza è l’ultima a morire

L’unica è sperare nell’euro forte. Un trucchetto da burocrati, per carità, che servirebbe a risparmiare qualcosina. Magari a spese dei cittadini, delle imprese dal momento che, per rafforzare la moneta unica occorrerà tornare a stringere sui tassi d’interesse. Lagarde è già stata avvisata. L’unica via di uscita, però, è quella indicata dal governo italiano. Secondo cui bisogna far tesoro di quello che s’è riuscito a strappare, scongiurando una guerra commerciale, e occorre considerare la dichiarazione di ieri non come “un punto di arrivo ideale o finale” ma come uno sprone “per incrementare ulteriormente nei prossimi mesi, come previsto dalla dichiarazione congiunta, i settori merceologici esenti, a partire dal settore agroalimentare”. Insomma, prendiamoci ciò che di buono c’è, ossia un po’ di stabilità in più dopo mesi passati nelle nebbie oscure dell’incertezza, delle minacce, dei muri. Un accordo sui dazi equo non c’è. Ma forse, potrà esserci. Più in là. Chissà.


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