Lo studio di Standard Chartered sulla tenuta delle quotazioni, il caso Cina (e quello dell'India)
Petrolio russo in cima, ancora, all’agenda economica mondiale. Ormai è chiaro che, ad Anchorage, Stati Uniti e Russia abbiano pensato (prima) agli affari e poi a tutto il resto. Ed è altrettanto palese che, prima o poi, le sanzioni contro le attività economiche russe saranno, se non eliminate, quantomeno calmierate. Ed è (anche) per questo che tanti analisti si interrogano. Se dovesse tornare tutto alla normalità, che ne sarà del prezzo del petrolio? Siamo sicuri che dando alla Russia la possibilità di tornare a commerciare in materie energetiche fossili non si deprima, ancora di più, il prezzo del barile che, di suo, già sta viaggiando in maniera spedita verso il basso?
“Il petrolio russo non muoverà i prezzi globali”
Si tratta di un quesito tutt’altro che ozioso se Standard Chartered, banca internazionale ramificata tra il mondo anglosassone e il Medio Oriente (e dunque con una spiccata vocazione e relazione con il comparto energetico), ci ha dedicato una ricerca. Uno studio secondo cui non ci sarebbe da preoccuparsi troppo rispetto a un’eventuale riammissione delle aziende russe nei circuiti economici globali. L’offerta, la produzione delle aziende locali, difatti non è altissima. E, sicuramente, non potrebbe, da sola, indurre il prezzo del barile di petrolio a oscillazioni, men che mai verso il basso. I numeri citati dalla ricerca della banca d’affari rivelerebbero che la produzione petrolifera russa è già al massimo e che i ritmi attualmente sostenuti dalle imprese non sarebbero alla lunga sostenibili dal sistema estrattivo locale. Si tratta, in termini numerici, di poco più di nove milioni di barili al giorno per il primo semestre di quest’anno. Un dato che risulta essere notevolmente inferiore rispetto a quello ante-guerra dal momento che, nel 2021, se ne estraevano ben 610mila in più. Ma c’è di più. Se il tetto al petrolio russo venisse meno, secondo gli analisti di StanChart, gli attuali Paesi acquirenti potrebbero dirottare altrove i propri affari dal momento che India e Cina, che al momento risulterebbero i mercati più importanti per Mosca, approfittando proprio dei prezzi più bassi per aumentare i loro ordini. Un segno meno che non verrebbe compensato dagli (ex) clienti storici europei dal momento che, al di là delle questioni politiche e diplomatiche, su Bruxelles incombe l’obbligo di acquisto di materie energetiche americane da ben 750 miliardi di dollari.
La Cina, l’India e le dinamiche dell’oro nero
A proposito di Cina le importazioni di petrolio russo da parte di Pechino sarebbero in calo. Nel primo semestre ’25 i volumi sono scesi a 57,71 tonnellate. Un calo pari al 7,6% che ha comportato, per la Russia, mancati guadagni nella misura del 21,3%. Numeri, questi, diffusi dalla Cnn che ne ha attribuito la paternità a un analista della società di intelligence commerciale Kpler. Stando, invece, ai numeri dell’amministrazione generale delle dogane cinesi, così come riportati dall’agenzia Tass, Pechino ha pagato finora alla Russia poco meno di 30 miliardi di dollari per il petrolio (29,48) per i primi sei mesi di quest’anno. C’è, poi, il capitolo India che, nel 2024, ha importato idrocarburi russi per poco meno di 53 miliardi di dollari. Un fatto che, di certo, non rappresentava un mistero per nessuno ma che ora, a causa (anche) del mancato accordo sui dazi tra Delhi e Washington, sta tornando con prepotenza d’attualità. Al punto che lo stesso governo indiano, con il ministro degli Esteri Subrahmanyam Jaishankar s’è sentito in dovere di riaffermare: “Non siamo i maggiori acquirenti di petrolio russo, che è la Cina. Non siamo i maggiori acquirenti di Gnl, che è l’Unione Europea. Non siamo il Paese che avrà il maggior incremento commerciale con la Russia dopo il 2022, credo siano alcuni Paesi del Sud”. Una questione tutt’altro che secondaria e non solo per S. Jaishankar o per Narendra Modi. I dati, difatti, dimostrano che le importazioni di gnl in Europa sono aumentate, in misura considerevole, nell’ultimo semestre: “Siamo un Paese a cui gli americani hanno detto negli ultimi anni che avremmo dovuto fare tutto il possibile per stabilizzare il mercato energetico mondiale, anche con l’acquisto di petrolio dalla Russia. Tra l’altro, acquistiamo petrolio anche dagli Stati Uniti, e questa quantità è aumentata”. Siamo sempre lì. Non è da chi compri ma a quanto compri.