Attualità

Videosorveglianza e privacy: quando la sicurezza diviene spionaggio illegale

di Priscilla Rucco -


Oltre vent’anni fa, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha fissato delle regole ben chiare e dettagliate sull’uso delle telecamere di sorveglianza, sia in ambito pubblico che privato. L’obiettivo era – e ancora lo è – garantire un equilibrio tra la tutela della sicurezza e il diritto fondamentale sulla privacy di ogni individuo. Purtroppo però ad oggi, questo equilibrio sembra troppo instabile e precario.

Il grande fratello

Le telecamere sono ovunque: nei centri storici, nei palazzi, nelle case, nei negozi, nei parcheggi, nei videocitofoni e nei campanelli delle abitazioni. Eppure l’installazione avviene in maniera autonoma e talvolta selvaggia, non rispettando le norme presenti e il buon senso. E il problema ritorna ogni volta che un caso riaccende il dibattito. La legge impone criteri precisi perché le riprese devono essere limitate a ciò che è strettamente necessario, ma devono anche essere chiaramente e preventivamente segnalate. Chi viene ripreso ha tutto il diritto di saperlo – anche se non può impedirlo -. Chi installa un impianto ha il dovere di informare, proteggere e limitare l’accesso ai dati e alle immagini che vengono poi raccolte. I video, infatti, non possono essere conservati per un tempo indefinito né essere visionati da chiunque, a meno che non si sia compiuto un illecito (e quindi le immagini sono da ritenersi a disposizione e al vaglio degli inquirenti). In ogni caso solo gli addetti possono fornire quanto immortalato. Le immagini quindi devono essere trattate solo da personale autorizzato e solo ed esclusivamente per finalità specifiche e lecite. È da ricordare che la diffusione di quanto raccolto è vietata, a meno che non si tratti di casi giudiziari (in mano alle forze dell’ordine).

Gli ultimi fatti

Ma la cronaca recente mostra quanto queste norme in realtà siano ignorate o bypassate. Il caso che in questi giorni ha travolto Stefano De Martino ne è un esempio (in senso strettamente negativo).  Alcune immagini provenienti dal sistema di videosorveglianza della sua abitazione sarebbero state illecitamente rubate e diffuse senza alcuna autorizzazione. Un episodio di puro e sofisticato hackeraggio che ha sollevato indignazione, ma anche domande lecite e tanta preoccupazione. Com’è possibile che un sistema nato per proteggere e garantire la sicurezza delle persone, sia diventato una minaccia? Come può la sicurezza trasformarsi in uno strumento di violazione della privacy? L’accaduto porta alla luce un problema noto e dimenticato allo stesso tempo e non basta installare una telecamera per sentirsi al sicuro. Serve una gestione responsabile e consapevole, ma anche punizioni giuste per chiunque violi la nostra sicurezza e la nostra intimità. E se i dati raccolti possono finire in rete o nelle mani sbagliate, il danno non è solo individuale ma un pericolo sociale dilagante che non si riesce a fermare, nella vastità dei social e di internet. Il Garante per la Privacy ha sì più volte ribadito che anche nell’ambito privato le telecamere non devono mai invadere spazi altrui (per non limitare la libertà individuale di ciascuno di noi) o pubblici, né trasformarsi in strumenti di sorveglianza abusiva o di voyeurismo. La gestione delle registrazioni va fatta con attenzione per le norme e rispetto per gli altri. In un’epoca in cui tutto è tracciabile anche sotto l’occhio delle telecamere e ogni cosa è condivisibile (che lo si voglia o no), serve fare un passo indietro. Davvero abbiamo bisogno che ogni cosa diventi spettacolo, anche a costo della violazione della privacy? E il rischio non consiste solo nel pericolo di essere spiati, ma dal pericolo che i sistemi che dovrebbero tutelarci e proteggerci vengano usati per metterci in vetrina.


Torna alle notizie in home