L’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc), organismo sostenuto dalle Nazioni Unite che si occupa di monitoraggio delle crisi alimentari, ha confermato che anche Gaza City è colpita da carestia. L’Ipc ha innalzato la valutazione per il governatorato di Gaza, che comprende la città e le aree circostanti, a Fase 5, il livello più alto e grave della scala sull’insicurezza alimentare.
I numeri che incastrano Israele
Secondo il rapporto di 59 pagine diffuso ieri, più di mezzo milione di persone nella Striscia di Gaza si trova in condizioni caratterizzate da livelli “catastrofici”. Circa 1,07 milioni, pari al 54% della popolazione, affrontano invece criticità di Fase 4, definite di emergenza. Tra metà agosto e fine settembre 2025, almeno 641.000 gazawi sono destinati a trovarsi in uno stato catastrofico, mentre il numero di chi affronta livelli di emergenza dovrebbe salire a 1,14 milioni. I dati sono probabilmente sottostimati, in quanto non includono il nord dell’enclave, difficile da raggiungere, né la popolazione rimasta a Rafah, in gran parte evacuata.
Problematiche simili potrebbero presentarsi entro fine settembre anche a Deir al-Balah, nel centro della Striscia, e a Khan Yunis, nel sud. La crisi alimentare si è aggravata dalla fine del cessate il fuoco a marzo con il blocco israeliano agli aiuti umanitari. Le autorità sanitarie locali hanno denunciato a più riprese un aumento dei decessi per malnutrizione, sollecitando una risposta immediata.
“Proprio quando sembra non ci siano più parole per descrivere l’inferno a Gaza, se ne aggiunge una nuova, ‘carestia’. Non è un mistero, si tratta di un disastro creato dall’uomo” e di un “fallimento dell’umanità”, ha scritto su X il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.
“La carestia non riguarda solo il cibo, è il collasso deliberato dei sistemi necessari per la sopravvivenza umana – ha proseguito Guterres – Le persone stanno morendo di fame. I bambini stanno morendo. E chi ha il dovere di agire sta fallendo. In quanto potenza di occupazione, Israele ha obblighi inequivocabili in base al diritto internazionale, compreso il dovere di garantire forniture di generi alimentari e medicinali alla popolazione”.
“Non possiamo permette questa situazione vada avanti nell’impunità – ha concluso il segretario generale dell’Onu – Basta scuse. Il momento per agire non è domani, è ora. Servono un cessate il fuoco immediato, il rilascio immediato di tutti gli ostaggi e accesso umanitario completo e senza restrizioni”. Durissimo Volker Turk, Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite: “È un crimine di guerra usare la fame come metodo di guerra”.
Hamas ha invocato “un’azione immediata per fermare la guerra e aprire i valichi”. “Chiediamo alle Nazioni Unite e al Consiglio di Sicurezza di agire immediatamente per fermare la guerra e togliere l’assedio a Gaza”, ha aggiunto il movimento islamico di resistenza, secondo cui il rapporto dell’Ipc “conferma la portata della catastrofe umanitaria causata dalla guerra israeliana in corso”.
Netanyahu nega la carestia a Gaza
Benjamin Netanyahu ha definito “una menzogna totale” il rapporto stilato dalle Nazioni Unite. “Questa non è un’analisi, è una calunnia moderna e gli unici ad avere fame sono gli ostaggi” israeliani ancora trattenuti a Gaza, ha continuato il premier israeliano. In una nota diffusa dal suo ufficio si parla di “una moderna calunnia del sangue, che si diffonde a macchia d’olio attraverso il pregiudizio”. E ancora: “La storia giudicherà chi la diffonde. La Cpi deve porre fine ai suoi doppi standard contro lo Stato ebraico”. Viene ribadito inoltre che “Israele non adotta la politica di affamare. Israele ha una politica di prevenzione della fame”.
Le reazioni internazionali
Per il ministro degli Esteri britannico, David Lammy, si tratta di “una catastrofe provocata dall’uomo” e “un oltraggio morale”. Il ministro ha accusato direttamente Israele di ostacolare gli aiuti umanitari.
L’Arabia Saudita ha espresso “estrema preoccupazione” per il rapido deterioramento della situazione umanitaria nella Striscia. Per il ministero degli Esteri saudita, la crisi è “una vergogna per l’intera comunità internazionale”.