Sono almeno 20 le persone rimaste uccise nell’attacco israeliano contro l’ospedale Nasser di Khan Younis, nella sud della Striscia di Gaza. Cinque i giornalisti tra le vittime. L’esercito israeliano ha affermato che le sue truppe “hanno effettuato un attacco nella zona dell’ospedale Nasser, a Khan Younis”. Il Capo di Stato Maggiore “ha ricevuto l’ordine di condurre un’indagine iniziale il prima possibile e si rammarica di qualsiasi danno arrecato a individui non coinvolti”. L’Idf “non prende di mira i giornalisti in quanto tali”.
La dinamica del massacro dei giornalisti
La Protezione civile ha ricostruito la dinamica dei fatti: un drone esplosivo israeliano ha colpito un edificio del Nasser, subito dopo c’è stato un raid aereo mentre i feriti venivano evacuati. Al Jazeera Media Network ha condannato “nei termini più forti possibili, questo orribile crimine commesso dalle forze di occupazione israeliane, che hanno preso di mira e assassinato direttamente i giornalisti nell’ambito di una campagna sistematica per mettere a tacere la verità”.
La condanna delle Agenzie e dei Sindacati
L’Associated Press ha fatto sapere in un comunicato di essere “scioccata e rattristata” per la morte di Mariam Dagga, 33 anni, giornalista video che lavorava come freelance per l’agenzia fin dall’inizio della guerra. Un portavoce della Reuters ha detto: “Siamo sconvolti nell’apprendere della morte del collaboratore della Reuters Hussam al-Masri e delle ferite riportate da un altro dei nostri collaboratori, Hatem Khaled, negli attacchi israeliani all’ospedale Nasser di Gaza di oggi”.
Il Sindacato dei giornalisti palestinesi ha dato la notizia della morte di altri due giornalisti: Moaz Abu Taha e Ahmad Abu Aziz. Abu Taha aveva collaborato con alcuni organi di stampa palestinesi e internazionali.
L’Associazione della Stampa Estera vuole “spiegazioni immediate” dagli israeliani. “Chiediamo spiegazioni immediate alle Forze di Difesa Israeliane e all’ufficio del Primo Ministro israeliano. Chiediamo a Israele di porre fine una volta per tutte alla sua abominevole pratica di prendere di mira i giornalisti”, ha dichiarato l’associazione in una nota, sottolineando che “troppi giornalisti sono stati uccisi a Gaza senza la minima giustificazione”. Ribadito il fatto che “non c’è stato alcun tipo preavviso prima”.
Francesca Albanese ha invocato sanzioni a carico di Israele. In un post su ‘X’, l’inviata dell’Onu ha scritto: “Soccorritori uccisi in servizio. Scene come questa si verificano ogni momento a Gaza, spesso invisibili, in gran parte non documentate. Imploro gli Stati: quanto altro deve ancora essere visto prima di agire per fermare questa carneficina? Rompete il blocco. Imponete un embargo sulle armi. Imponete sanzioni”.
Le Nazioni Unite urlano contro l’indifferenza
Il direttore dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, Philippe Lazzarini ha denunciato la “scioccante indifferenza e l’immobilismo globale” sul conflitto in corso a Gaza. Per Lazzarini, “l’indifferenza e l’immobilismo del mondo sono scioccanti” e l’eliminazione di altri giornalisti a Gaza rappresenta un tentativo di “mettere a tacere le ultime voci rimaste che denunciano la morte silenziosa dei bambini a causa della carestia”.
“I giornalisti non sono un obiettivo. Gli ospedali non sono un obiettivo”, ha ammonito la portavoce delle Nazioni Unite per i diritti umani, Ravina Shamdasani. “L’uccisione di giornalisti a Gaza dovrebbe sconvolgere il mondo, non in un silenzio attonito, ma verso l’azione, chiedendo responsabilità e giustizia”, ha continuato Shamdasani.
Hamas ha accusato Tel Aviv di aver compiuto un “nuovo crimine di guerra”. Si tratta di “un nuovo crimine di guerra” che si aggiunge a “una sanguinosa lista di massacri”, si legge in una nota del gruppo palestinese. Queste azioni mostrano tutto il “disprezzo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del suo governo terrorista per il diritto internazionale”.
Le forze israeliane stanno cercando di intimidire i giornalisti affinché non parlino della “pulizia etnica” e della crisi umanitaria in corso nell’enclave palestinese, dove Netanyahu sta attuando “una politica di fame sistematica”, ha concluso il movimento islamico di resistenza.