Editoriale

Pd in ginocchio dai grillini: Calenda non ci sta e balla da solo

di Laura Tecce -


Salvate il soldato Calenda. In un panorama politico dove le giravolte sono ormai moneta corrente, il leader di Azione sceglie la coerenza e alle imminenti elezioni regionali decide di non dare il proprio sostegno né ai candidati dei 5Stelle né a quelli del Pd che “si piegano ai programmi imposti dai 5Stelle”. Ergo: ovviamente non ci saranno liste col simbolo di Azione per Pasquale Tridico, grande sostenitore del reddito di cittadinanza quando era presidente dell’Inps, attualmente eurodeputato pentastellato, investito in Calabria dell’ardua impresa di battere alle urne l’uscente dimissionario Roberto Occhiuto. Promettendo ai calabresi il famigerato sussidio utilizzando i fondi Ue che dovrebbero servire per innovazione e competitività.

Regionali d’autunno, si procede con le candidature

Col placet di Schlein, ovviamente, ben felice di candidare un altro grillino doc in Campania, Roberto Fico, in cambio della segreteria regionale per il figlio di De Luca. Del resto il Calenda-pensiero è chiaro: dalle parti del Nazareno “oscillano tra la prostrazione davanti ai Cinquestelle e la sottomissione ai cacicchi locali”. Evenienza, quest’ultima – nell’ottica del Pd – che ci può anche stare laddove il risultato fosse incerto o tendenzialmente a favore dei candidati del centrodestra. Da che mondo è mondo in politica il fine giustifica (quasi sempre) i mezzi.

Meno comprensibile è però la ragione per la quale in una delle poche roccaforti dem ormai rimaste – la Toscana – l’uscente Eugenio Giani, profilo moderato in grado di attrarre voti trasversali – abbia deciso di sottoscrivere un accordo elettorale con 5Stelle siglato con tanto di sorrisi a abbracci addirittura con Paola Taverna che ai tempi d’oro del grillismo duro e puro versione “Vaffa” non lesinava improperi di ogni guisa all’indirizzo del Pd. Giani non aveva ovviamente alcun bisogno del 2 o 3% portati in dote dal Movimento: evidentemente per ottenere il via libera a correre per un secondo mandato ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco in nome del tanto agognato “campo largo”, l’unico modo – secondo Schlein – per provare ad arginare la destra (e mantenere la segreteria).

“Problemi suoi”, deve aver pensato Calenda. Perché lui dovrebbe appoggiare un candidati che propongono il reddito di cittadinanza regionale (giusto per allenare i giovani al divano) e nel Granducato pure lo stop al rigassificatore? L’esatto opposto di ciò che il leader di Azione sostiene da anni. Non se ne parla. Anche perché l’obiettivo è un altro, ed è ambizioso: presentarsi da soli alle politiche per far sì che il suo partito diventi abbastanza forte “da spezzare il bipolarismo”. E qui il confine tra ambizione e utopia si assottiglia: sono decenni che si cerca – da destra e da sinistra – di ricomporre il “centro”. Un luogo dell’anima ormai, piu che della realtà.

Del resto, il grande centro alla balena bianca non si vede da oltre trent’anni, disperso tra populismi, personalismi e partitini vari. E se, appunto, qualcuno poteva pensare che l’operazione di smarcarsi dall’area progressista, dominata ormai dai diktat del già avvocato del Popolo fosse in qualche modo propedeutico ad un avvicinamento a destra – tendenzialmente dalle parti di Forza Italia – fanno fede, ad oggi, le parole che il nostro riserva ad Occhiuto: “Ha fatto una cosa gravissima, scegliendo il voto per fare un referendum su se stesso dopo le inchieste della magistratura”. In ogni caso, utopia o meno, a Calenda rimane il grande merito di essere l’ unico a denunciare l’appiattimento del Pd sull’agenda di Conte.


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