L'altro lato dei dati sull'occupazione a luglio: sale l'occupazione ma l'inattività è ferma (da anni) al 33%
Sale l’occupazione ma l’inattività rimane alta, troppo alta. Come la Luna, e come cantavano (e suonavano) i Pink Floyd, anche i dati Istat sull’occupazione hanno un loro lato oscuro. The dark side. Ecco, pure i numeri pubblicati dagli analisti dell’istituto nazionale di statistica hanno una doppia chiave di lettura o, se preferite, un duplice aspetto. Da un lato, quello luminoso, entusiasmante quanto basta, c’è la corsa al rialzo continua e costante dell’occupazione. Che sale, anche a luglio. E che ormai lambisce il 63 per cento mentre la disoccupazione si fa sempre più piccina, una stella lontana che si riduce fino al 6 per cento. Ottimo, per carità. Il guaio, però, è che c’è (appunto) un lato oscuro. The dark side. Ed è rappresentato dall’altrettanto continua e costante crescita del numero degli inattivi. Che a luglio, stando alle stime provvisorie diramate da via Cesare Balbi, hanno raggiunto quota 33,2%. In pratica, mentre si festeggiano i passi in avanti del tasso di occupazione, un italiano su tre non studia né tantomeno lavora. E la cosa peggiore è che a incrociare le braccia, a smettere di formarsi, è un numero sempre crescente di donne.
Occupazione femminile e giovani, i soliti problemi
Le dinamiche esplorate dall’analisi dei numeri Istat riferiscono infatti che il dato globale riguardante gli inattivi cresce dello 0,1% (stessa performance dell’occupazione, che a luglio ha raggiunto il 62,8%). Il guaio è che il tasso di inattività delle donne è pari al 42,3 per cento, in aumento dello 0,4% rispetto al mese precedente (cioè a giugno) ma sostanzialmente stabile se confrontato sull’arco di un anno. Insomma, per le donne è cambiato poco. E questo è un male, specialmente se i numeri si raffrontano con quelli che riguardano i maschietti: qui l’incidenza di inattività è pari al 24,1% e risulta in diminuzione tanto sul raffronto mensile (-0,1%) quanto su quello annuale (-0,2%). Resta più alto, tra le donne, anche il tasso di disoccupazione (6,7% a fronte del 5,4% degli uomini). E il dato risulta in frenata, certo, ma molto più contenuta rispetto ai maschi. Se la disoccupazione maschile “perde” lo 0,7% rispetto al luglio del 2024, quella femminile non scende oltre lo 0,1%. Insomma, niente di nuovo sotto al sole: l’Italia non rappresenta di certo un modello in materia di lavoro in rosa. E nemmeno per i giovani. Il dato sull’inattività dei 15-24enni rimane sostanzialmente inalterato ma conferma una realtà durissima che stima il tasso di chi non studia né lavora addirittura al 77%. C’è da segnalare, però, che aumenta l’occupazione tra i ragazzi. Sarà, forse, l’estate che avanza e la possibilità di ottenere un lavoro stagionale. E difatti è salito, sul mese, il numero dei contratti a tempo determinato che, però, sull’anno decrescono. L’incubo dello scoramento, adesso, ghermisce anche i fratelli più grandi. Già, perché la fascia tra i 25-34 anni ha visto salire l’inattività dello 0,7% rispetto a giugno e dello 0,4% sul trend annuale.
Inattivi e mismatch: l’Italia senza operai
Che l’inattività rimanga un problema, serio, per l’economia italiana lo dimostrano anche i dati legati agli anni precedenti. C’è una sola costante che lega i numeri sul lavoro dal gennaio 2023 a oggi. E cioè che, tranne in due sole occasioni (ottobre ’23 e maggio scorso), il tasso non è mai sceso sotto il 33 per cento. E ciò mentre tutti gli altri indicatori hanno, invece, registrato un percorso positivo. L’occupazione, per esempio, che è salita dal 60,9 dell’inizio del 2023 fino al 62,8% di luglio ’25 senza mai centrare significativi passi indietro. Oppure la disoccupazione, in calo costante, che ha perso quasi due punti dal 2023 (a gennaio di quell’anno era al 7,9% oggi è al 6%). Persino quella giovanile ha registrato un percorso virtuoso, seppur frastagliato, scendendo dal 22,7% del 2023 al 18,7 del mese scorso. L’inattività, invece, non s’è mai scostata da lì. Trentatré percento, un italiano su tre. Che non studia né lavora. E solo le imprese sanno quanto ci sarebbe bisogno, più che di lavoratori, di gente in formazione. Nel fine settimana appena trascorso, la Cgia ha lanciato l’ennesimo allarme sul tema delicatissimo del mismatch ossia della domanda e dell’offerta di lavoro che non si incrociano mai. Secondo gli analisti Cgia assumere poco meno di 840mila operai specializzati, per le aziende, è stata un’autentica impresa. Carpentieri, gruisti, fresatori, saldatori od operatori di macchine a controllo numerico computerizzato non si trovano. E, per quattro aziende su dieci, ci si è trovati di fronti all’amarissima realtà: avviate le selezioni, proclamati i bandi, nessun candidato disponibile. La palma degli operai introvabili spetta al Trentino Alto Adige dove la difficoltà di reperimento ha toccato il 56,5 per cento. A seguire il Friuli Venezia Giulia con il 55,3, l’Umbria con il 55 la Valle d’Aosta con il 54,5 e il Veneto al 51,5. Al Sud, invece, le cose andrebbero leggermente meglio. Con l’eccezione del Molise. Che esiste, a dispetto dei simpaticoni del web, e dove il tasso di difficoltà di reperimento di figure specializzate s’è attestata attorno al 49 per cento.