Latitante da 19 anni, lo tradisce un tatuaggio
Era ricercato in tutta Europa perché il capo riconosciuto di una rete di sfruttamento della prostituzione
Dopo 19 anni da latitante è stato arrestato a Taviano, in provincia di Lecce, Durin Lusha, un cittadino albanese di 52 anni ricercato in tutta Europa. E’ stato scovato, dopo tutto questo tempo, solo grazie ad un tatuaggio.
Diciannove anni da latitante
Lusha era a capo di un’organizzazione criminale italo-albanese specializzata nel reclutamento e nello sfruttamento di giovani donne straniere, in particolare albanesi, costrette a lavorare nel mondo della prostituzione in condizioni di sfruttamento e riduzione in schiavitù.
L’arresto è avvenuto durante un controllo dei carabinieri in un bar ove forse pensava di passare inosservato alle forze dell’ordine grazie a documenti falsificati. Lusha è stato riconosciuto solo grazie a un tatuaggio distintivo sull’avambraccio destro raffigurante una donna seminuda, un dettaglio che ha confermato la sua identità nonostante avesse cambiato il nome sul passaporto.
L’uomo era stato condannato a una pena definitiva di 10 anni di reclusione per il ruolo di capo di questa rete criminale. Una cattura che dimostra l’efficacia della completezza di indagini svolte, attraverso la collaborazione tra diverse unità investigative e tecniche di riconoscimento, che servono a permettere la cattura di criminali che, come in questo caso per circa due decenni, pensano di eludere la giustizia.
I tatuaggi nel mondo della criminalità
I tatuaggi nel mondo della malavita albanese, così come in altre organizzazioni del crimine organizzato, hanno un significato molto specifico e simbolico. Essi rappresentano spesso l’appartenenza a un gruppo criminale o a una rete, il ruolo all’interno di tale organizzazione, o i crimini commessi. Sono un mezzo di comunicazione visivo che può indicare la storia personale del detenuto, come anni passati in carcere o atti di violenza, ed è anche usato per incutere rispetto e paura.
Stavolta, per la precisa archiviazione delle sue fattezze all’atto della registrazione della sua identità reale negli archivi delle forze dell’ordine del nostro Paese, a tradire l’albanese latitante è stata l’immagine di una donna seminuda, un suo probabile vezzo personale che ne ha permesso il riconoscimento e lo ha condotto in carcere.
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