Attualità

Macron e gli ostaggi: l’urlo di Topo Gigio contro i muri di Gaza

La grandeur ridotta a hashtag: appelli che non liberano ostaggi ma servono solo a ricordare ai francesi che il loro presidente è ancora in cerca di un ruolo.

di Andrea Fiore -


Emmanuel Macron ha scritto sui social: “700 giorni senza i propri cari. Chiedo l’immediato rilascio di tutti gli ostaggi ancora detenuti da Hamas”. Parole solenni, certo. Ma se uno guarda bene il contesto, la solennità regge come un castello di sabbia davanti all’alta marea.

Dichiarazioni simili le hanno fatte anche altri leader occidentali, ed è normale che lo facciano. La domanda però è: perché Macron? Perché proprio lui, che in patria naviga tra consensi in caduta libera e piazze sempre più arrabbiate, sente il bisogno di ripeterlo con tanta enfasi?

Attenzione: non è questione del solito rapporto amore-odio con quelli che chiamiamo “i nostri cugini d’Oltralpe”. Non c’entra l’antipatia tradizionale tra italiani e francesi. Qui il punto è uno solo: la non autorevolezza del personaggio. Per Hamas, un post di Macron vale meno di zero. Nessuno nei tunnel di Gaza interrompe un interrogatorio per leggere le note dell’Eliseo.

Per Macron invece, ogni parola serve a tenersi a galla, a sembrare ancora un attore centrale sulla scena internazionale. È un appello non agli ostaggi, ma alla memoria dei francesi: “Guardate, ci sono, contate ancora su di me”.

Eppure, all’estero la sua voce ha il peso di un sussurro, poco più di un’eco. Ha provato a farsi mediatore in ogni crisi, ma regolarmente resta quello che parla e non decide. Un presidente che invoca la liberazione degli ostaggi con la stessa autorevolezza di Topo Gigio (o forse meno).

In fondo, Macron è diventato l’uomo degli appelli che non spostano nulla. Un oratore instancabile che confonde il parlare con l’essere ascoltato.

Come direbbero a Parigi: «Il parle, mais personne n’écoute.»


Torna alle notizie in home