Cronaca

Medio Oriente: le risoluzioni ONU (in)finite nel dimenticatoio

di Priscilla Rucco -


Quando si parla del conflitto israelo-palestinese, c’è una cosa che colpisce subito, ovvero il numero incredibile di risoluzioni ONU che sono rimaste inattuate. Dal 1947 ad oggi, il Consiglio di Sicurezza ha emanato circa 69 risoluzioni tra la Palestina e Israele, mentre altre 29 sono finite nel “dimenticatoio” per via del veto americano. È una situazione paradossale, ma che racconta molto delle dinamiche geopolitiche mondiali.

Le prime Risoluzioni

Per comprendere l’attuale crisi, dobbiamo necessariamente fare un salto indietro al 29 novembre del 1947. L’Assemblea Generale dell’ONU approva la famosa Risoluzione 181 con cui si sarebbe dovuta dividere la Palestina in due Stati: uno per gli ebrei – con il 56% del territorio – e uno per gli arabi – con il 44% -, lasciando però Gerusalemme sotto il controllo internazionale. I numeri erano ben definiti e chiari: al nuovo Stato ebraico spettava il 56,47% della terra per ospitare 500mila ebrei e 325mila arabi e a quello arabo il 43,53% per 807mila arabi e 10mila ebrei. Sulla carta sembrava sensato, ma come la storia ha mostrato, nulla è andato com’era stato concordato. I Paesi arabi non accettarono la risoluzione e le tensioni esplosero nel 1948 fino a dare vita alla prima guerra arabo-israeliana. Da quel momento, i confini disegnati dall’ONU sono caduti nel dimenticatoio. Il vero punto di svolta è però arrivato dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967. Il 22 novembre di quell’anno viene redatta la Risoluzione 242, probabilmente la più famosa di tutte. Il messaggio era diretto: Israele doveva ritirarsi “dai territori occupati nel recente conflitto” e tutti gli Stati della regione avevano diritto a “vivere in pace entro frontiere sicure e riconosciute”. Nasce così il principio di “terra in cambio di pace” che ancora oggi, dopo più di 50 anni, aspetta di essere applicato. Nel 1973 però, durante la Guerra dello Yom Kippur, arriva una nuova Risoluzione, la 338, che sostanzialmente afferma – e ricorda – di applicare immediatamente la Risoluzione 242. Ma anche questa volta poco o quasi nulla è cambiato. Ma allora perché, nonostante la presenza delle risoluzioni, le promesse non sono state mantenute e le decisioni mai attuate? Sfogliando i documenti degli ultimi decenni dell’ONU sembra emergere un quadro deprimente, ma di sistematica inosservanza e “dimenticanza”. Prendiamo, ad esempio, la Risoluzione 425 del 1978 che intimava ad Israele di ritirarsi dal Libano. Il risultato è stato quello che gli israeliani se ne sono andati nel 1985, ma hanno comunque mantenuto una fascia di sicurezza al confine fino al 2000. Ventidue anni per applicare una risoluzione che chiedeva un ritiro “immediato”.

Gli insediamenti e il ruolo dei 5 membri permanenti

Di non meno importanza è il capitolo degli insediamenti, forse il più sconfortante: la Risoluzione 446 del 1979 che definiva (gli insediamenti stessi) “un grave ostacolo alla pace” e richiamava Israele al rispetto della Quarta Convenzione di Ginevra. L’anno dopo (1980), la Risoluzione 452 ordinava di smettere di costruire nei territori che erano occupati. Oggi, nel 2025, quegli insediamenti non solo esistono ancora, ma si sono moltiplicati. La domanda che nasce da questa ricostruzione storica è: “Perché non sono state applicate ed osservate le Risoluzioni?”. E qui, arriviamo al nodo cruciale della questione. Nel Consiglio di Sicurezza ONU siedono cinque membri permanenti: USA, Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina, ognuno con il sancito diritto di veto. E gli americani questo diritto lo applicano soprattutto quando si tratta di Israele. Ogni risoluzione che potrebbe mettere in difficoltà Tel Aviv viene bloccata dal veto USA. È un meccanismo – evidente – che rende praticamente impossibile qualsiasi iniziativa diplomatica. C’è però un dettaglio che spesso viene dimenticato: quando Israele è entrata a far parte dell’ONU (come membro a pieno titolo nel 1949) ha sottoscritto un impegno ben preciso. La Risoluzione 273 prevedeva, infatti, che Israele rispettasse tutte le risoluzioni ONU dal momento della sua ammissione. Un impegno solenne che, guardando i fatti, è rimasto ampiamente sulla carta – come gli eventi storici hanno fin qui dimostrato -. Lo scorso anno l’ONU ha dichiarato che il muro costruito da Israele nei territori occupati viola il diritto internazionale e di conseguenza, ne ha chiesto l’abbattimento. Nell’autunno 2000, in pochi mesi, sono uscite 8 risoluzioni di condanna per la politica israeliana nei territori occupati. Quello che emerge da oltre 70 anni di risoluzioni (e storia) è un quadro preoccupante: c’è un abisso tra quello che sancisce il diritto internazionale e quello che avviene realmente sul territorio. Ogni risoluzione ONU testimonia sì, la preoccupazione sincera della comunità internazionale, ma il loro mancato rispetto rivela quanto sia inefficace la base della struttura diplomatica globale. La questione territoriale, quella che tutto sommato era stata definita chiaramente già nel 1947, continua a essere il cuore frantumato di un conflitto che sembra non avere mai fine. E forse la lezione più dura da accettare è questa: le regole internazionali valgono solo se c’è la volontà politica di farle rispettare ed attuare, altrimenti rimangono quello che sono diventate molte di queste risoluzioni: documenti “dimenticati” che raccolgono solo polvere negli archivi del Palazzo di Vetro.


Torna alle notizie in home