Attualità

Sumud Flotilla: le domande scomode di Vecchioni

di Anna Tortora -


Domenico Vecchioni solleva domande scomode sulla flotilla per Gaza, mentre Francesca Albanese e Greta Thunberg accolgono l’equipaggio con un abbraccio simbolico a Tunisi.

Flotilla per Gaza: le domande scomode di Vecchioni e l’abbraccio petaloso di Albanese

Mentre i riflettori mediatici si accendono sulla cosiddetta Global Sumud Flotilla, e mentre la tensione sale al largo della Striscia di Gaza, arriva una dichiarazione netta, priva di ambiguità, da parte di Domenico Vecchioni, storico e già ambasciatore d’Italia.
Un intervento che non si perde nei toni accomodanti, e che invece pone una serie di domande esplicitamente “antipatiche” ma concrete.

Chi paga, chi parte, chi ci guadagna?

“Domande “antipatiche” e non retoriche: chi paga le spese della flottilla?
Gli equipaggi sono stati informati che si stanno dirigendo verso una zona di guerra, ripeto zona di guerra, dove vigono appunto le leggi della guerra, non quelle dei campus universitari?”

In poche righe, Vecchioni mette il dito su una questione fondamentale: l’assunzione di responsabilità reale, non solo morale, da parte di chi partecipa a iniziative come queste.
Non si tratta di un corteo studentesco, ma di un’azione che si dirige in un teatro di guerra attiva.

Visibilità o provocazione?

“Cosa cerca di ottenere la flottilla, visibilità internazionale, l’incidente militare che dovrebbe spingere i paesi europei ad adottare misure rigidamente restrittive verso Israele e gli ebrei?
Delegittimare col loro gesto Israele e legittimare Hamas?”
Qui la domanda diventa più spinosa. L’ambasciatore suggerisce un rischio concreto: quello di alimentare narrazioni strumentali, dove il gesto simbolico diventa in realtà un’azione di propaganda, consapevole o meno.

Ostaggi e cessate il fuoco: davvero si vuole la pace?

“Lo sanno che se Hamas liberasse gli ostaggi, come Israele chiede incessantemente da due anni, si potrebbe davvero avere presto il cessate il fuoco?”
Domanda cruciale. Si parla spesso di “cessate il fuoco”, ma la questione degli ostaggi rimane centrale e poco discussa in certi ambienti.

Arabi contro Hamas, europei pro?

“Perché la Lega Araba sostiene il disarmo di Hamas, organizzazione terroristica la quale, invece, raccoglie simpatie e appoggi in Europa?”
Un’altra contraddizione sottolineata dalle domande scomode di Vecchioni sulla flotilla: l’apparente scollamento tra il mondo arabo istituzionale e parte dell’opinione pubblica europea, dove Hamas gode ancora di consensi insospettabili.

Protezione diplomatica o illusione?

“Cosa vuol dire chiedere la “protezione diplomatica” della flottilla? In realtà niente. Perché se la flottilla tenterà di entrare in zone considerate di guerra, sarà fermata con la forza e gli equipaggi rispediti al mittente. Poco potrà fare l’invocata protezione diplomatica.
Bene che vada. Male che vada, potrebbero essere tutti arrestati e finire nelle prigioni israeliane, salvo poi una lenta liberazione (allora sì che dovranno essere attivate le diplomazie europee!).”
Vecchioni non lascia spazio all’ambiguità: invocare la protezione diplomatica in un’azione di rottura non garantisce alcuna copertura reale. Anzi, rischia di generare più problemi di quanti ne voglia risolvere.

Nessuna conseguenza politica o umanitaria?

“Gli equipaggi sanno che il loro gesto non avrà alcuna conseguenza politica o militare per Israele, né umanitaria per i palestinesi, che invece avrebbero bisogno solo di essere liberati dalla dittatura di Hamas, che non ha mai rinunciato al suo obiettivo finale: la distruzione dello Stato d’Israele.
E poi ci si meraviglia se Israele non vuol più sentire parlare di “due Stati”.”_
Un colpo secco: la flotilla come gesto privo di efficacia reale, se non accompagnato da una presa di posizione chiara contro Hamas.

Domanda finale: il diritto all’esistenza di Israele

“Domanda provocatoria finale (ce ne sarebbero altre, ma il post diventerebbe troppo lungo), perché Hamas e compagnia non riconoscono il diritto all’esistenza d’Israele?
Io una certa idea ce l’ho. Non so voi…”
Una conclusione volutamente aperta, che però ribadisce il punto di partenza: ogni discussione che ignori l’obiettivo dichiarato di Hamas – la distruzione di Israele – rischia di essere inconsistente e ideologica.

E poi arrivò l’abbraccio petaloso

Nel frattempo, a Tunisi, si consumava una scena degna di un romanzo fotografico di attivismo globale: Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU per i territori palestinesi occupati, si è recata al porto dove ha accolto l’equipaggio della Family Boat, la nave simbolo della flottilla — secondo gli organizzatori, colpita da un drone.
Ad attenderla, con espressione grave ma composta, anche Greta Thunberg, ormai punto di riferimento per qualsiasi missione planetaria che contempli mare aperto, giustizia e fotogenia.
Ed è lì che è avvenuto l’abbraccio. Intenso, simbolico, pieno di pathos. Un gesto che forse avrebbe potuto fermare guerre, sciogliere tensioni, addolcire Netanyahu e convincere Hamas a sedersi a un tavolo.
O forse no.

Le domande scomode restano

Mentre i droni sorvolano e gli ostaggi restano nelle mani di Hamas, mentre l’Europa applaude simboli e ignora le sostanze, le parole di Vecchioni restano lì: scomode, lucide, ignorate.
Perché a volte la realtà non si piega agli abbracci. E nemmeno alle flottiglie.


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