Esulta il governo ma i dati sull'export e la fine del Pnrr non fanno dormire sonni tranquilli
Corre l’occupazione al Sud: mai così alta da vent’anni a questa parte. Esulta il governo, gioisce la premier Giorgia Meloni. La strada, dicono da Palazzo Chigi, è quella giusta. I dati Istat sembrano andare proprio in questa direzione. Il lavoro, nelle Regioni meridionali, cresce. Le opportunità di occupazione pure. Per chi vive al Sud, per gli over 50 e per le donne. Gli analisti dell’istituto nazionale di statistica riferiscono quelle cifre che mandano in sollucchero l’esecutivo. L’occupazione che sale come mai prima d’ora, attestandosi nel secondo trimestre del 2025, sugli stessi livelli di quello precedente: al 62,4%, circa 24,17 milioni di occupati. Qualche crepa, però, inizia a intravedersi: calano i dipendenti a tempo indeterminato e quelli part-time (-0,1% e -1,7% rispettivamente) ma non è che cambia molto, ai fini statistici, dal momento che sembrano ampiamente “recuperati” dai nuovi posti degli “indipendenti” ossia le nuove partite Iva, Cococo e prestatori d’opera occasionale che salgono di 74mila unità. Ma, va da sé, c’è una netta differenza “qualitativa” tra l’essere assunti a tempo pieno o lavorare con un contratto di collaborazione continuata e continuativa. Il dato che, però, più interessa il governo è quello legato all’occupazione al Sud. Sarebbe pari al 50,1%. Un livello che non si registrava da più di vent’anni, per la precisione dall’ormai lontano 2004. E che è stato “celebrato” direttamente dalla premier con un post affidato ai social: “Ci accusavano di voler spaccare l’Italia, ma la verità è che abbiamo scelto di credere nelle energie, nel talento e nella forza del Sud”. E ancora: “Abbiamo avuto il coraggio di dire basta alla stagione dell’assistenzialismo, che per troppo tempo ha alimentato l’idea di un Mezzogiorno condannato a restare indietro”. E infine: “Abbiamo investito in infrastrutture, lavoro, merito. Lavoriamo per mettere il Sud in condizione di competere ad armi pari e di dimostrare, finalmente, tutto il suo valore”. Parole, quelle sull’occupazione al Sud, che hanno dato la stura al nuovo duello mediatico tra maggioranza e opposizione. E che, forse, serviranno a dare la spinta proprio al centrodestra che, in vista delle Regionali, non ha ancora avuto il coraggio di scrollarsi dall’immobilismo che lo contraddistingue quando c’è da organizzare un’elezione da Latina in giù e ad impegnarsi a cercare di trovare un paio di candidati solidi, uno in Campania e l’altro in Puglia, investendo, invece, ogni sua risorsa politica (e di dibattito) sulla partita del Veneto. La partita del Sud è entusiasmante. E lo sarà davvero. Una sfida reale. Già, perché quello che i proclami della politica non riportano è che il Mezzogiorno, che cresceva più dell’intero Paese, s’è fermato. E questo lo sapevamo già. Il guaio è che, adesso, sta tornando a ingranare la retromarcia. Come, per esempio, sull’export. È stata proprio l’Istat, nei giorni scorsi, a stilare la “classifica” delle Regioni sulle esportazioni. Ebbene, in questo campo, a differenza di quanto accaduto sull’occupazione, il Sud ne è uscito malissimo: da solo ha perso il 14,4% degli scambi internazionali. Non c’è territorio meridionale, tranne l’Abruzzo “premiata” dall’automotive, che non abbia risentito della flessione nel primo semestre di quest’anno. Peggio di tutte, la Sardegna che ha ceduto il 17,3% delle sue esportazioni a causa del flop dei prodotti petroliferi raffinati e del coke. Male pure la Campania che ha perduto quote di mercato sia nell’auto che nei comparti farmaceutico, chimico e botanico accusando perdite pari al 15,5%. Quindi c’è il dramma della Sicilia a cui sfugge l’11,2% del suo export, colpita come la Sardegna, dal ribasso degli affari nel campo energetico. Infine la tragedia del Molise: le perdite sono pari al 9,8% ma, simbolicamente, a Termoli s’è consumata la Caporetto dell’industria con la fine, sostanziale, del grande progetto della gigafactory di batterie per auto elettriche Stellantis. Dati, questi, che fanno scopa con l’imminente fine del Pnrr. Il prossimo sarà l’ultimo anno. Col 2026, finirà il piano che ha dato al Sud l’occasione per crescere più degli altri. In attesa, va da sé, di capire quale sarà il futuro del porti italiani ed europei e se il Ponte sullo Stretto, davvero, servirà a qualcosa o se si rivelerà un costoso flop che riverserà sul già intasato asfalto il traffico che, invece, si sarebbe voluto mantenere (e incentivare) per mare. Insomma, la sfida del Sud è entusiasmante per chi saprà accettarla e si candiderà sul serio a governare.