Trump è felice: c’è l’intesa con la Cina su Tiktok. O, almeno, un accordo. Va sempre così. Quando i toni, tra Washington e Pechino, iniziano a inasprirsi, ecco spuntare il (solito) coniglio dal cilindro. Il fine settimana è passato tra le dichiarazioni bellicose di Trump che avrebbe voluto imporre a Bruxelles, e più in generale agli “alleati” della Nato, di applicare tariffe fino al 100 per cento sui prodotti cinesi e, magari, a quelli indiani. I dossier aperti restano tali. E il clima, su alcune questioni decisive (su tutte quella energetica a maggior ragione dopo la presentazione del progetto Power of Siberia 2), rimane teso.
Trump, l’intesa su Tiktok e le tensioni con Pechino
Ma proprio mentre tutto sembra andare a scatafascio, ecco che Trump se ne esce con l’intesa su Tiktok e la “telefonata” in programma con Xi nella giornata di venerdì prossimo. “Il grande incontro commerciale in Europa tra Stati Uniti e Cina è andato molto bene”, ha scritto il presidente sul suo account di Truth con la solita retorica maiuscola. “Raggiunto un accordo con una carta azienda che i giovani del nostro Paese avrebbero voluto salvare, ne saranno felici”, ha aggiunto riferendosi proprio a Tiktok: “Parlerò con il presidente Xi venerdì, le relazioni restano davvero forti”, ha concluso Trump. Che, solo qualche ora prima, s’era dovuto leggere, e probabilmente non senza un certo disappunto, le conclusioni dell’indagine della autorità cinesi su Nvidia, il colosso dei chip, accusato dal Dragone di aver violato a più riprese la normativa anti-monopoli mentre il portavoce del ministero agli affari esteri, Lin Jian, aveva deplorato l’idea americana di imporre sanzioni ai Paesi che acquistano petrolio russo come “un atto tipico di intimidazione unilaterale e coercizione economica”, sottolineando che tali misure “sovvertono gravemente le norme del commercio internazionale e minacciano la sicurezza e la stabilità delle catene industriali e di approvvigionamento mondiali”. Tutto è dimenticato. Almeno per ora, almeno per un po’.
Bruxelles resta ad aspettare
A Bruxelles, i foderi, questa volta si sono mossi con circospezione. “La nostra valutazione è che i successivi pacchetti di sanzioni che abbiamo presentato, che includono nuove iniziative e ulteriori iniziative per rafforzare quelle precedenti, stanno funzionando”, ha risposto il solito Olof Gill a un punto stampa a chi gli chiedeva se l’Ue avesse accettato l’ennesima richiesta dal senior partner americano. Poi, con un dribbling retorico ubriacante, il portavoce di Maros Sefcovic ha aggiunto, a proposito dello strumento antielusione contro Pechino: “Abbiamo diversi strumenti a nostra disposizione, e analizziamo le situazioni in gioco e decidiamo se sia appropriato, se sia il momento opportuno, utilizzarli. Questo è un giudizio che si esprime in ogni circostanza. E se finora non è stato utilizzato, è certamente per buone ragioni. È là, può essere utilizzato quando lo riteniamo opportuno”. Per adesso, dunque, non se ne fa nulla. Chissà, forse da Palazzo Santa Cruz a Madrid, dove si sono tenuti gli incontri tra i cinesi capitanati dal vicepremier He Lifeng e gli americani guidati dal segretario Scott Bessent, era partita già qualche telefonata di rassicurazione alla Commissione. Chissà. Di sicuro, però, in tanti a Bruxelles staranno già chiedendo informazioni sui voli per Londra. Da domani, infatti, Donald Trump sarà in Gran Bretagna per una visita ufficiale che durerà fino al 18 settembre.
Il caso trimestrali: perché Trump “nasconde” i conti di Wall Street?
L’ultima volta che il presidente americano è sbarcato nel Regno Unito, cioè durante la visita in Scozia, s’è arrivati alla stretta di mano che ha suggellato l’intesa sui dazi Ue-Usa. Se Bruxelles piange (e forse implora), Washington (e Wall Street) hanno ben poco da ridere. Altrimenti non si spiega perché Donald Trump abbia chiesto di eliminare l’obbligo di rendicontazione trimestrale per le società quotate in Borsa. “Si risparmiano soldi e tempo”, ha detto. Poi ha aggiunto che “in Cina hanno una visione da cinquanta a cento anni di un’azienda, da noi di tre mesi”. Così, ha svelato, non si può andare avanti. A differenza dei casi cinesi, però, la rendicontazione trimestrale è una sorta di istituzione di trasparenza nel Paese in cui la finanza gioca un ruolo chiave e, troppo spesso, s’è dimostrata fin troppo suscettibile di fronte a rapporti e numeri, esaltanti o meno che fossero. La spiegazione del presidente Trump, insomma, è apparsa un po’ troppo semplicistica. E, di sicuro, non (solo) ai politici ma a tanti analisti che adesso storcono il naso. Che l’attuale amministrazione si trovi in difficoltà coi numeri e le analisi è lampante e lo dimostrano i tanti, troppi casi, di report controversi su cui gravano accuse di manipolazione.