Attualità

Giornata per gli IMI il ricordo e l’oblio tra memoria e giustizia

di Ivano Tolettini -


Domani, 20 settembre 2025, l’Italia celebrerà per la prima volta la Giornata degli Internati Militari Italiani (IMI), istituita dal Parlamento all’unanimità lo scorso gennaio. Una data scelta non a caso: il 20 settembre 1943 Hitler decise di cancellare per i soldati italiani catturati dopo l’armistizio lo status di prigionieri di guerra, inventando per loro la definizione di Internati Militari Italiani. Una formula che serviva a eludere le tutele della Convenzione di Ginevra, aprendo la strada alla deportazione nei lager e al lavoro coatto. Furono oltre 600.000 i militari italiani che dissero “no” all’adesione alla Repubblica sociale e pagarono quella scelta con anni di prigionia, stenti, umiliazioni e morte. Tra loro, il maresciallo maggiore dei Carabinieri Reali Antonio Staffoni, comandante della stazione di Malles Venosta, catturato dai tedeschi e rinchiuso nel campo di Stargard, in Pomerania. Morì di stenti nel 1944 lasciando una vedova di 43 anni e due figli piccoli. Il figlio Oscar, oggi 87enne, ha scritto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per ricordare il sacrificio del padre e di tanti altri. “Credo che dovremmo insegnarlo anche ai giudici – osserva – dato che il Tribunale di Trento ha recentemente sentenziato che quanto accaduto a mio padre non è degno di risarcimento ai superstiti”. La vicenda processuale, che ha coinvolto numerose famiglie di internati, mostra la distanza tra memoria e giustizia: i tribunali, come nel caso di Trento, hanno più volte riconosciuto il valore morale di quei sacrifici, ma hanno rigettato le richieste di indennizzo appellandosi a prescrizioni o a cavilli giuridici. Emblematico il caso di Staffoni: i giudici hanno stabilito che lo Stato non deve alcun risarcimento perché le richieste sarebbero ormai decadute. Una decisione che i familiari vivono come un’ulteriore ferita, un oblio imposto dalla legge dopo l’oblio voluto dal Reich. La senatrice a vita Liliana Segre ha lanciato un appello perché la nuova Giornata non si riduca a mera cerimonia: “Occorre aiutare le nuove generazioni a riempire questa ricorrenza di contenuti e di senso, così che anche per loro quei “600.000 no” diventino un esempio luminoso”. Parole che suonano come un monito a non dimenticare e a trasformare la memoria in insegnamento civico. Dietro ogni numero c’è una storia. Alfredo Belli Paci, giovane ufficiale catturato a Cefalonia, raccontava di essersi svegliato di notte con la fame che gli impediva di dormire. Migliaia di soldati vissero esperienze simili: fatica, gelo, lavori forzati, isolamento. Alcuni riuscirono a sopravvivere, molti altri non fecero ritorno. Le famiglie, a distanza di ottant’anni, continuano a chiedere giustizia. Non tanto e non solo economica, ma morale: il riconoscimento pieno del sacrificio dei loro cari. La nuova legge rappresenta un passo avanti, ma la contraddizione resta evidente: mentre il Parlamento onora con una giornata solenne, le aule giudiziarie negano risarcimenti a chi ha subito direttamente o indirettamente quelle sofferenze. Il 20 settembre, dunque, non deve essere solo una ricorrenza di calendario. Deve essere l’occasione per guardare a una verità rimossa: la memoria non sia solo un dovere civile, ma anche un diritto negato da troppo tempo ai familiari degli IMI.


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