L'identità: Storie, volti e voci al femminile Poltrone Rosse



Cronaca

L’odio politico figlio della menzogna

di Francesco Da Riva Grechi -


Dopo tante lezioncine di “politically correct” in questo periodo la sinistra ci ripropone la tesi autenticamente e genuinamente “antifascista” secondo cui in certi casi si può uccidere ed in altri no, figlia dell’antico: “uccidere un f…a non è reato “. Naturalmente non ci sarebbe alcun problema di urtare la sensibilità di qualcuno, neanche del ceto dei giuristi che abituati a leggere su tutti i libri e in tutte le aule di giustizia: “la legge è uguale per tutti” nessuno si aspetterebbe che di fronte ad un omicidio si dica “non hai mica ucciso Martin Luther King” e dunque te la puoi cavare con un’ammenda. Ad affermare questo è stato un matematico, sarà che io a scuola preferivo la filosofia. Il problema non è solo di correttezza del linguaggio, è di odio. E la degenerazione del clima politico è tale da suscitare grande allarme perché tale odio sempre più regolarmente sfocia nella violenza. E nessuno vuole fermarsi. La situazione geopolitica si può definire in continua tensione dal punto di vista militare, con rischi di escalation ovunque, e non a caso si richiama sempre più spesso, sia a proposito dell’Italia, sia sempre più per gli Stati Uniti, la stagione degli anni di piombo che dopo il 1969 ha visto le strade delle nostre città inondarsi di sangue innocente per motivi politici, nel solco di quella che è stata definita strategia della tensione. Tra quel 12 dicembre 1969 e il 1982 si verificarono 2.712 attentati politici con 1.119 vittime e 351 morti. Negli Stati Uniti tutto inizi con le proteste contro la guerra in Vietnam senza mai raggiungere gli eccessi italiani. Non a caso il neosovietico e neocomunista Putin continua a richiamarsi a quella che secondo lui sarebbe l’errata lettura della storia che si farebbe in occidente. La strategia della tensione è figlia di quel dopoguerra che in Italia ha visto una vera e proprio guerra civile tra il 1943 e il 1945 ed una stagione della “resa dei conti” che per qualcuno non è ancora finita. Un grande intellettuale francese, Edgar Morin ha affrontato il tema del linguaggio politico in un saggio intitolato “Il gioco della verità e dell’errore” per spiegare che la costruzione dei miti e dei mostri ideologici del secolo scorso non poteva fondarsi su delle verità, né sull’esattezza delle ricostruzioni storiche, bensì sulla violenza. Quando quei miti e quei mostri non funzionano più la violenza aumenta e la sinistra di casa nostra, in crisi d’identità e di risultati, lo dimostra sempre più ferocemente. E non ci sono più le voci critiche che agivano da contrappesi riequilibratori come quella, mai abbastanza apprezzata, di Pier Paolo Pasolini. Anch’egli vittima della violenza politica, anche se non c’è nessuna certezza sulla sua morte. Rimane il suo pensiero, di cui un frammento molto interessante è contenuto nell’epistolario con il terrorista ordinovista Giovanni Ventura con il quale studiava i rapporti dei servizi segreti deviati con le stragi “di Stato”. Scrive il poeta ed intellettuale marxista: “Insomma, almeno una volta mi dica sì se è sì, no se è no. La mia impressione è che lei voglia cancellare dalla sua stessa coscienza un errore che oggi non commetterebbe più. (…) Si ricordi che la verità ha un suono speciale, e non ha bisogno di essere né intelligente né sovrabbondante (come del resto non è neanche stupida né scarsa)”.


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