I droni e le esplosioni che fanno da sottofondo alle preghiere dei fedeli nella chiesa della Sacra Famiglia a Gaza mentre si celebra una messa, l’ennesima, per la pace. Nell’enclave palestinese tutto è ogni giorno più difficile. Vivere, sperare, persino pregare. Dal filmato postato da padre Gabriel Romanelli sui social, traspare tutta la sofferenza di una comunità umana e di fede che ha scelto di non arrendersi all’orrore. “Sono stati uccisi più di 18mila bambini e gli ostaggi ancora non hanno sperimentato il diritto di vivere in libertà, i feriti e gli ammalati non hanno ancora possibilità di cura perché all’ospedale manca tutto. Le armi hanno preso il sopravvento”, ha detto il parroco di Gaza in un video-messaggio fatto ascoltare nel Duomo di Napoli prima dell’inizio delle celebrazioni di San Gennaro. Un urlo nel silenzio, il contrasto stridente tra due quotidianità in lembi non lontanissimi di un mondo che è unico. Per tutti. Anche per quel bambino innocente, morto per malnutrizione ieri a Gaza, andandosi ad aggiungere agli altri 147 che lo hanno preceduto.
Israele ha chiuso l’unica via di accesso tra la Cisgiordania e la Giordania, il giorno dopo che un autista che trasportava aiuti umanitari dalla Giordania a Gaza ha aperto il fuoco e ucciso due militari israeliani. L’Autorità aeroportuale israeliana, che gestisce il ponte di Allenby, ha annunciato che rimarrà chiuso fino a nuovo avviso.
Le colpe di Netanyahu
Il premier Benjamin Netanyahu, sul cui capo pende un mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale dell’Aja per “crimini di guerra e contro l’umanità”, non è disposto a fare sconti di alcun tipo. Nemmeno a quella parte dell’opinione pubblica israeliana che lo contesta da mesi e sta scontando le conseguenze del deterioramento sul piano internazionale dell’immagine di Israele, dovuta a un esecutivo unito attorno all’idea della “Grande Israele” che va dal fiume al mare. Il premier israeliano più longevo (al timone dal 29 dicembre 2022 e precedentemente dal 2009 al 2021 e tra il 1996 e il 1999), sta palesando tutta la durezza acquisita nelle Forze di difesa israeliane durante la “Guerra d’attrito” tra Israele ed Egitto e in quella dello Yom Kippur. Da capo del Likud è stato accusato più volte di aver aperto le porte agli estremisti.
Itamar Ben-Gvir, un oltranzista da sempre
La saldatura tra le varie anime della destra israeliana in nome della “guerra permanente”, ha permesso l’ascesa di personaggi come Itamar Ben-Gvir, ministro per la Sicurezza nazionale israeliano e leader dell’estrema destra messianica. Incarna la visione radicale propria della sua formazione, Otzma Yehudit (Potere Ebraico). Ben-Gvir è nato nel 1976 a Mevaseret Zion, sobborgo residenziale di Gerusalemme da un padre ebreo di origine irachena e da una madre immigrata curda, a sua volte di discendenza ebraica. La madre era stata volontaria nell’Irgun, l’organizzazione militante contro il colonialismo britannico, prima dell’indipendenza di Israele. Nel 1990 si iscrisse all’ala giovanile di Kach, partito ultraortodosso di estrazione religiosa e rigorosamente sionista, bandito dal governo di Tel Aviv in seguito alle dichiarazioni di numerosi esponenti che mostravano un avallo al massacro compiuto dal terrorista Baruch Goldstein, che uccise a colpi d’arma da fuoco ventinove palestinesi nella Grotta dei Patriarchi il 25 febbraio 1994. Il ministro di Netanyahu nel 1995, a diciannove anni, apparve in tutti i telegiornali quando minacciò in diretta televisiva il premier Yitzhak Rabin, fautore degli Accordi di Oslo coi palestinesi, sostenendo che i nazionalisti più intransigenti erano riusciti ad arrivare “alla sua macchina” e presto “sarebbero giunti anche a lui”. Da avvocato è stato per anni l’uomo di riferimento per gli estremisti ebrei.
Il fanatismo religioso di Smotrich
Un’altra figura controversa è quella di Bezalel Smotrich, ministro israeliano delle Finanze. Nato nel 1980 ad Haspin, un insediamento nei territori occupati da Israele nelle alture del Golan, è cresciuto nella colonia di Beit El, in Cisgiordania. È uno degli esponenti dell’arcipelago sionista religioso di estrema destra che non vuole uno Stato palestinese e ritiene che l’intera Palestina appartenga al popolo ebraico per diritto divino. È capo del piccolo Partito Sionista Religioso, che con i suoi sette parlamentari alla Knesset è decisivo per la tenuta della fragile coalizione che sostiene Netanyahu. Promuove ostinatamente l’espansione delle colonie nei territori palestinesi e l’annessione della Cisgiordania, che chiama Giudea e Samaria. “Non esiste una cosa chiamata popolo palestinese”, disse nel marzo 2023. In passato si è definito “fascista” e “omofobo orgoglioso”.