IN LIBRERIA – Il giorno in cui Nils Vik morì
Ci sono libri che non chiedono di essere semplicemente letti, ma di essere abitati: Il giorno in cui Nils Vik morì di Frode Grytten, tradotto da Andrea Romanzi per Carbonio Editore, appartiene a questa categoria: un’opera breve, ma talmente densa da trasformarsi in esperienza. Non è un romanzo che si consuma, piuttosto una voce che continua a risuonare dentro di noi, molto tempo dopo aver chiuso l’ultima pagina. Nils Vik, traghettatore dei fiordi norvegesi, affronta la sua ultima giornata di vita. Ma non c’è nulla di spettacolare nella sua partenza: non eroi, non battaglie, non epiloghi epici. Solo un uomo, una barca.
Eppure, in questa apparente semplicità si cela un rito universale. La barca non collega più due rive, ma diventa soglia, ponte fragile tra vita e morte, memoria e oblio. I passeggeri che salgono a bordo sono i fantasmi del passato, presenze amate che tornano non per spaventare, ma per restituire a Nils l’interezza della sua storia. Nils Vik ha visto generazioni intere passare davanti ai suoi occhi: sposi e vedovi, studenti e insegnanti, chi iniziava la vita e chi la lasciava.
È stato testimone discreto, quasi invisibile, ma proprio per questo essenziale. La sua barca è stata un “sentiero di vita”, un luogo in cui le biografie si intrecciavano senza saperlo. Ora, nella sua ultima traversata, quelle vite ritornano come echi. E in questo silenzio tra mare e terra, i fiordi norvegesi non fanno da sfondo: sono personaggi, respiri, specchi dell’anima. L’acqua immobile riflette malinconia e bellezza, la nebbia avvolge i confini tra presente e passato. La lingua di Grytten aderisce a questo paesaggio: sobria, lirica, essenziale. Uno dei tratti più profondi del romanzo è la concezione del tempo: non linea che procede, ma una spirale: nel giro di un solo giorno, Nils rivive decenni, come in un canto circolare che ricompone i frammenti.
Il giorno in cui Nils Vik morì non è davvero un libro che parla solo di morte. È piuttosto un racconto della vita, osservata dal suo limite più fragile. Non cerca di rassicurare e non mette paura: chiede soltanto di fermarsi un momento e guardare. Ci ricorda che gli affetti non svaniscono del tutto, ma restano accanto a noi, in forme silenziose. Che i gesti di ogni giorno, se vissuti con cura, possono diventare un rito. Che anche l’ultimo viaggio non è mai davvero in solitudine, perché chi abbiamo amato torna, in qualche modo, a camminarci accanto. Grytten ci regala più di una storia: ci offre un piccolo spazio di pace, un’occasione per riconciliarci con ciò che temiamo di più.
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