Attualità

Nessuno ferma Netanyahu, ma Gaza blocca l’Italia

di Eleonora Ciaffoloni -

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L’Italia si ferma per Gaza “Bloccheremo tutto”: il racconto del 22 settembre e le prospettive di un autunno caldo

“Non si registrava una partecipazione così ampia dai tempi delle stragi di Mafia”, raccontano da Palermo. “Studenti mobilitati come ai tempi della riforma Gelmini” dicono a Roma. “Strade in queste condizioni non si erano più viste a Milano da almeno 25 anni” commentano da sotto la Madonnina.

Per questo la giornata del 22 settembre resterà impressa come una delle più significative mobilitazioni degli ultimi anni in Italia. Lo sciopero generale indetto dai sindacati di base (Usb, Cub, Adl, Sgb) “contro il genocidio a Gaza e contro la vendita di armi a Israele” ha paralizzato diversi settori strategici – treni, trasporto pubblico locale, logistica portuale, scuole, università – ma anche fatto registrare atti di violenza.

Alla protesta hanno preso parte centinaia di migliaia di persone in tutto il Paese, con oltre 80 città coinvolte e con punte di oltre 50 mila manifestanti a Roma e decine di migliaia tra Milano, Napoli e Bologna. Il Paese si è fermato non solo per lo sciopero nei luoghi di lavoro, ma soprattutto per le piazze: cortei, blocchi autostradali, occupazioni di stazioni e presidi ai porti hanno reso evidente un sentimento condiviso per la causa palestinese, ma che potrebbe generare e acutizzare un malcontento che va oltre la singola causa.

Perché la mobilitazione in Italia per Gaza ha mostrato un elemento che ricorda le stagioni degli scioperi generali degli anni ‘90: la capacità di unire istanze diverse — pace, diritti civili, rivendicazioni sociali — in un fronte comune. Oggi non siamo ancora a quei livelli, ma quello di ieri potrebbe non essere un episodio isolato. Già il prossimo 3 ottobre, tra poco più di due settimane, è previsto un nuovo sciopero generale, questa volta focalizzato su temi economici e sociali: salari, inflazione, precarietà, caro vita. L’effetto combinato di due proteste ravvicinate potrebbe inaugurare un autunno di mobilitazioni diffuse.

Il rischio è l’apertura di un vero autunno caldo, come non si vedeva da anni. Con l’aggravarsi delle difficoltà economiche e il peso delle tensioni geopolitiche sulla quotidianità, la piazza potrebbe tornare a essere lo strumento scelto per esprimere rabbia e richiesta di cambiamento. Se i sindacati confederali dovessero decidere di affiancare quelli di base, l’Italia potrebbe ritrovarsi di fronte a un ciclo di scioperi e proteste di dimensioni poco paragonabili a quelle dei recenti anni.

Pur condannando i gesti violenti di una minoranza e dissociandoci da quanto avvenuto negli scontri di Bologna o Milano, sembra evidente che tantissimi cittadini hanno deciso di scendere in piazza, spinti dalla sensazione che i movimenti tradizionali e le istituzioni non stiano rappresentando adeguatamente le loro istanze. O almeno non stiano rispondendo, come rappresentanti del Paese, contro la politica di devastazione, di genocidio, che il governo di Tel Aviv guidato da Netanyahu sta compiendo sulla Striscia di Gaza. E se dal governo l’unico elemento degno di nota della giornata sembra essere stato quello delle violenze (isolate) – “Indegne” le ha definite la premier Giorgia Meloni e che “non cambiano la vita delle persone a Gaza” – senza commentare la mobilitazione nel suo senso più ampio, il messaggio che sembra passare dopo questa giornata è un altro.

Se lo Stato è immobile contro Israele, l’Italia si paralizza per Gaza. Il tutto, in attesa della 80ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che a New York, vedrà proprio l’intervento della premier italiana, nella riunione focalizzata sulla promozione di una soluzione a due Stati per il conflitto israelo-palestinese. Occasione in cui sarà presente anche Netanyahu, convinto che “non ci sarà uno Stato palestinese”, in risposta al crescente numero di Paesi (tra gli ultimi Gran Bretagna, Canada) che stanno riconoscendo formalmente la Palestina come Stato sovrano. Un riconoscimento su cui l’Italia non si è espressa e che, insieme alle manifestazioni di ieri, potrebbe rappresentare un assist per le oppisizioni, che denunciano “L’oscurtità” della politica estera del governo che continua a non dare “alcuna spiegazione in parlamento” sulla propria posizione nel conflitto in Medio Oriente.


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