Attualità

La cattura del boss Piromalli. Arresti da Milano a Palermo e blitz dei Ros in otto città

di Ivano Tolettini -


Non era un tranquillo ottantenne, dedito all’orto e agli anni della pensione. Pino Piromalli, detto Facciazza, capo storico della potente cosca di Gioia Tauro, una volta tornato in libertà dopo ventidue anni di carcere duro al 41 bis, ha ripreso in mano le redini dell’organizzazione ’ndranghetista. A dimostrarlo è l’operazione “Res Tauro”, condotta dal Ros dei carabinieri e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, che ha portato all’arresto di 26 persone tra Calabria, Campania, Sicilia, Puglia, Lombardia, Liguria e Sardegna. Un colpo che conferma la pervasività della ’ndrangheta: da Palermo a Milano, passando per Benevento, Lecce, Nuoro e Ventimiglia, i carabinieri hanno eseguito misure cautelari nei confronti di affiliati e sodali della cosca, ricostruendo la trama criminale che dal cuore della Piana di Gioia Tauro continuava a irradiare influenza e potere lungo tutta la penisola. La rinascita del clan avviene dopo la scarcerazione di Pino Piromalli, liberato il 10 maggio 2021. Egli non ha perso tempo: ha ristabilito i vecchi equilibri, riorganizzato la catena di comando e ridefinito ruoli e compiti degli affiliati. Un ritorno che il procuratore capo della Dda di Reggio, Giuseppe Borrelli, ha definito “la rivitalizzazione della cosca dopo la scarcerazione del suo capo carismatico”. Al fianco di Pino, due figure chiave: i fratelli Gioacchino, 91 anni, e Antonio, di 86, anch’essi destinatari della misura cautelare per la direzione strategico-operativa della cosca. Un triumvirato che, secondo gli inquirenti, ha esercitato un controllo totale sulle attività criminali, dalle estorsioni al riciclaggio, dalle armi al condizionamento delle aste giudiziarie. L’indagine ha documentato episodi concreti: due estorsioni per 200 mila euro e la manipolazione di almeno tre aste giudiziarie. A queste si aggiunge la strategia del reinserimento patrimoniale: beni confiscati che, grazie a prestanome, sarebbero tornati nella disponibilità del clan. Durante le indagini sono stati emessi circa 260 decreti di intercettazione, installate 17 telecamere all’interno dell’abitazione di Piromalli, eseguiti oltre 260 servizi di osservazione e pedinamento. Risultato: il sequestro preventivo di sei immobili, sedici terreni, tre imprese individuali e due aziende agricole, per un valore di tre milioni di euro. A questi si sommano ulteriori misure di prevenzione patrimoniali, che hanno bloccato beni mobili, immobili e rapporti bancari per oltre 4 milioni di euro, riconducibili a Piromalli e al suo braccio destro, Antonio Zito.

Un potere al Nord

L’operazione ha dimostrato come la cosca calabrese mantenga una capacità di penetrazione nazionale. Dalle inchieste emerge che il clan non solo era attivo a Reggio Calabria e nella Piana di Gioia Tauro, ma aveva ramificazioni a Palermo, Milano, Ventimiglia e perfino in Sardegna, confermando la dimensione pervasiva della ’ndrangheta. “La nostra impostazione accusatoria, riconosciuta dal Gip – ha spiegato il procuratore aggiunto Stefano Musolino – è che Piromalli sia diventato ciò che ha sempre detto: il padrone di Gioia Tauro”. Un padrone che, anche dal carcere, aveva continuato a esercitare un ruolo di comando, impartendo direttive ai suoi uomini di fiducia.

La sfida alle istituzioni

La scarcerazione di Piromalli è stata accolta da un clima di attesa nel tessuto sociale di Gioia Tauro, che secondo la Dda ha mostrato “una particolare mollezza”, quasi nell’attendere il ritorno del boss. “Non si vedeva l’ora che Pino Piromalli tornasse a comandare” ha sottolineato Musolino, denunciando una condizione di dipendenza sociale che rende ancora più difficile l’azione dello Stato. Non è un caso che gli inquirenti abbiano sottolineato il tono “anodino” del primo comunicato del Comune di Gioia Tauro. Solo successivamente, l’amministrazione guidata dalla sindaca Simona Scarcella ha diffuso una seconda nota, molto più netta, nella quale ha ribadito fiducia nella magistratura e ricordato alcune iniziative intraprese contro la criminalità: dall’utilizzo di beni confiscati, come il centro di raccolta rifiuti appartenuto a Piromalli e un immobile destinato a centro antiviolenza intitolato al giudice Livatino, all’abbattimento di costruzioni abusive, fino al recupero dei risarcimenti dovuti alla città nei processi contro la ’ndrangheta. Il nome Piromalli si intreccia con un’altra storica famiglia della Piana, i Molè. A turbare l’equilibrio tra le due cosche fu l’omicidio di Rocco Molè il 1° febbraio 2008 a Gioia Tauro, un delitto ancora in cerca di verità. Quel fatto di sangue spinse Piromalli, già detenuto, a ribadire la necessità di un’“armonizzazione” tra le diverse ’ndrine per mantenere stabile il controllo del territorio.Le indagini ci consegnano – ha ribadito Borrelli – un boss impegnato nell’esercitare ancora il suo ruolo di capo”. Con Res Tauro lo Stato infligge un colpo durissimo a una delle più influenti famiglie della ’ndrangheta, ma la pervasività della cosca Piromalli resta un monito: il radicamento mafioso si spezza con l’azione costante che coinvolga istituzioni, economia e società civile.


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