Attenzione a tenere (troppo) i conti a posto perché si rischia la crescita. C’è ancora tanto da fare. L’Ocse non è mai contenta. I conti a posto fanno dell’Italia un Paese più sicuro. A discapito, però, della crescita. Che, l’anno prossimo, sarà ridotta praticamente al lumicino. Per tutti, però, non soltanto per l’economia italiana.
Conti a posto, crescita limitata
Gli analisti dell’Ocse, nell’Interim economic outlook, hanno segnalato che il Pil, nel 2024, è salito dello 0,7% (confermando, così, i numeri Istat) mentre quest’anno la crescita non andrà oltre lo 0,6%. Stesso identico trend è previsto anche per il 2026. Rispetto alle previsioni, si tratta di un ribasso pari a un decimo di punto. Che, detta così, sembra poco. Ma che diventa, invece, importante per chi si ritrova a dover redigere bilanci, previsioni e una manovra che arriva in un contesto internazionale a dir poco difficile. La raccomandazione che arriva all’Italia è quella di continuare sulla strada virtuosa del risanamento dei conti. Alvaro Santos Pereira, capoeconomista Ocse, ha detto che “l’Italia è in una posizione migliore” rispetto a “quanto fosse pochi anni fa”. Ma ha invitato il governo, che ha incassato in pochissime settimane l’endorsement di Christine Lagarde per l’uscita dal Patto di stabilità e l’upgrade del rating da parte di Fitch, a non adagiarsi sugli allori: “E’ importante continuare a ridurre il debito pubblico, perché a questo livello continua ad essere alto”. E quando è così alto si “spende tanto in interessi, invece ad esempio che in educazione o investimenti, e poi perché gli alti livelli di debito li rendono vulnerabili alle crisi esterne”. Cosa che il ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti ha imparato a sue spese quando, durante il regno dei falchi a Francoforte, con l’irrigidimento delle politiche monetarie la spesa per gli interessi. Ma attenzione perché, come ogni cosa, anche il patinatissimo risanamento ha un lato meno luminoso che rischia di complicare i piani dell’Italia. Già, perché sono proprio gli analisti Ocse a ricordare che, il prossimo anno, rischia di essere decisivo per il futuro dell’Europa.
Chi sale e chi scende
O, per dirla in altri termini, potrebbe vedere la riscossa della Germania (che ambisce a crescere dell’1,1% dopo aver centrato un altro anno di flop (solo +0,3%) e l’ennesima fermata per le altre due grandi economie del Continente, ossia Francia e Italia: “Nelle economie europee, l’aumento delle tensioni commerciali e l’incertezza geopolitica dovrebbero essere in parte compensati da condizioni di credito più favorevoli, con una crescita nell’area dell’euro prevista all’1,2% nel 2025 e all’ 1% nel 2026. L’espansione fiscale – hanno aggiunto gli economisti Ocse – dovrebbe stimolare l’attività economica in Germania, ma il previsto consolidamento sia in Francia che in Italia smorzerà la crescita”. In pratica, grazie al Patto di stabilità, la crescita dell’economia italiana potrebbe essere molto meno intensa di quel che ci si aspetterebbe. A dover tenere i conti (troppo) a posto si rischia la crescita. E non è a caso, dunque, che le previsioni parlano solo dello 0,6 per cento di crescita.
Lo scenario internazionale: Dazi più alti dal 1933
A pesare è il quadro geo-economico internazionale. Ossia i dazi che, per l’Ocse, sono “i più alti mai in vigore dal 1933”. Una data che, di sicuro, non è banale né per la storia dell’Europa né per quella del mondo intero. Il Pil globale, dicono gli analisti, crescerà sotto il 3% per il 2026. Se tutto andrà bene l’aumento sarà del 2,9%. E non si salverà nessuno: dagli Usa, che potrebbero passare dal 2,8% nel 2024 all’1,8% nel 2025 e all’1,5% nel 2026, alla Cina: dal 4,9% nel 2025 e al 4,4% nel 2026, con l’entrata in vigore di dazi più elevati e il venir meno del sostegno fiscale. Uno scenario complicato, vieppiù, dalle criptovalute su cui l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo ha lanciato un accoratissimo allarme: “Le valutazioni elevate e volatili delle criptovalute aumentano anche i rischi per la stabilità finanziaria, data la crescente interconnessione con il sistema finanziario tradizionale”. Una preoccupazione, questa, che per l’Ocse viene addirittura prima rispetto a quella del debito (su cui “è necessaria una disciplina fiscale per salvaguardare la sostenibilità del debito a lungo termine e mantenere un margine di manovra per reagire a shock futuri”) e dei commerci globali che rischiano il tracollo. C’è, dunque, tanto da fare. La manovra di quest’anno, anzi mai come quest’anno, rischia di essere decisiva. L’Italia sta meglio e può proseguire un percorso di rafforzamento ma ci sono tante istanze che non possono più essere ignorate. A cominciare da quelle dei salari, su cui l’Ocse ha puntato ulteriormente il dito. Tema, questo delle retribuzioni, che fa scopa con l’altro argomento che sta monopolizzando le discussioni che anticipano i lavori del bilancio, ossia quello del ceto medio e degli sgravi fiscali. I conti a posto, sì ma quelli delle famiglie.
Fiscal drag, cos’è
Il Partito democratico ha mutuato dalla Cgil quella che, a tutta prima, sembrerà il suo nuovo cavallo di battaglia. Ossia la lotta al cosiddetto fiscal drag. In pratica, l’inflazione gonfia solo apparentemente i redditi ma le famiglie sono costrette a pagare più tasse. Un modo abbastanza contabile, ma efficace, di alzare le tasse senza annunciarlo. Ciò su cui, negli ultimi anni, hanno campato i governi di ogni colore e orientamento politico. Che, tra un balzello e l’altro, una stretta e una (finta) allargata sono arrivate a imporre ai cittadini una pressione fiscale al 42,7%. Per intendersi, è più o meno la stessa che è applicata in Svezia. Senza però che, in Italia, ci siano neanche lontanamente i servizi offerti alle famiglie dal modello scandinavo. Nel centrodestra si prosegue a parlare, dunque, di voler adempiere alla grande promessa di sollevare un po’ il ceto medio. Che, alla fine, ha pagato il conto per tutti: dal reddito di cittadinanza fino ai “buchi” delle multinazionali malamente sanati dagli accordi (molto scontati e molto postumi…) col Fisco. Contestualmente, però, ci sono da garantire i bonus e, a proposito di ceto medio, s’è già alzata la voce di chi lamenta, da anni, come questa fascia della popolazione finisca per essere sistematicamente sbalzata fuori da ogni agevolazione grazie (anche) al sistema degli Isee. Tante, dunque, sono le cose da fare.
Forza Italia sta con le banche: “No a nuove tasse”
E altrettante le risorse da reperire. Per questo, ormai da tempo, si parla di un nuovo “anticipo” da chiedere alle banche. Cosa fortemente voluta da Salvini e avversata con la stessa tenacia da Tajani. Ieri gli azzurri hanno incontrato l’Abi. La delegazione dei banchieri era guidata dal presidente Antonio Patuelli. All’incontro hanno preso parte i capigruppo al Senato e alla Camera, Maurizio Gasparri e Paolo Barelli, il responsabile economico, Maurizio Casasco, il responsabile dei dipartimenti, Alessandro Cattaneo, il capogruppo in Commissione bilancio a Palazzo Madama, Dario Damiani. Al termine dell’incontro, il partito ha alzato le barricate: “Fi ha ribadito la propria posizione contraria all’introduzione di qualsiasi nuova tassa nei confronti di chiunque e, per quanto riguarda il sistema bancario, ha preso atto del positivo andamento dell’intesa stabilita lo scorso anno, che porterà al bilancio dello Stato, per gli anni 2025 e 2026, oltre 4 miliardi di euro”. Ma, nel centrodestra, un’apertura sul prelievo alle banche è arrivata da Maurizio Lupi che ha annunciato le priorità di Noi Moderati in vista della manovra: “Stipendi d’ingresso troppo bassi, Irpef zero per i giovani nei primi cinque anni di lavoro”. E quindi Lupi mette (altro) pepe sul dibattito: “Agli amici di Forza Italia diciamo che non ci sembra una bestemmia dire mettiamoci intorno al tavolo” per verificare la possibilità di un “loro contributo, non abbiamo mai visto un buffetto o un pizzicotto far male, sono le sberle che fanno male”. Come quelle politiche, date le beghe che stanno dividendo i due partiti in Parlamento tra chi entra e chi esce. Ma questa è un’altra storia.