Caso Almasri, il relatore in Giunta per le Autorizzazioni propone l’ok al processo
Per Gianassi (Pd) i membri del governo agirono per "opportunismo politico"
Il caso Almasri continua a scuotere il Parlamento e gettare ombre sulle scelte del governo. Nella relazione presentata in Giunta per le Autorizzazioni a Montecitorio, il deputato Federico Gianassi (Pd), relatore del procedimento, ha sostenuto con fermezza la necessità di autorizzare il processo nei confronti dei ministri Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, tutti indagati a vario titolo per il controverso rimpatrio in Libia del generale Almasri.
La posizione di Gianassi: “Scelta di opportunismo politico”
Secondo il parlamentare dem, i membri dell’Esecutivo non avrebbero agito nell’interesse pubblico, né tantomeno perseguito un obiettivo costituzionalmente rilevante, ma avrebbero piuttosto compiuto una scelta dettata da “mero opportunismo politico”. Una decisione fondata, secondo Gianassi, su timori generici e non supportati da elementi concreti, che evidenzierebbero la debolezza del governo di fronte a bande armate e milizie estere responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e di crimini internazionali. “Il Governo – ha dichiarato Gianassi – ha mostrato un cedimento rispetto a potenziali ricatti di milizie armate e a minacce di ritorsioni generiche. Circostanze che non possono giustificare l’immunità penale dei ministri, accusati di avere violato la legge e di avere compromesso gli obblighi internazionali assunti dall’Italia”.
La Corte Penale Internazionale
Il nodo principale riguarda la richiesta di arresto avanzata dalla Corte Penale Internazionale nei confronti dell’ufficiale libico. Per Gianassi, le scriminanti previste dall’articolo 9 della legge costituzionale n. 1 del 1989 – che tutelano i membri del governo quando agiscono nell’interesse pubblico – non sarebbero applicabili. Al contrario, è la tesi, l’azione dell’esecutivo avrebbe determinato una grave violazione degli obblighi internazionali e avrebbe minato la credibilità dell’Italia sulla scena globale. Oltre all’aspetto giudiziario, la relazione tocca anche il piano politico: “Resta la responsabilità – ha affermato Gianassi – di aver presentato al Parlamento scelte politiche come se fossero inevitabili conseguenze giuridiche. Si è trattato, invece, di un calcolo politico censurabile e di un cedimento a pressioni esterne, con conseguente danno alla trasparenza del rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento”.
Il caso Bartolozzi
Parallelamente, resta aperto il capitolo legato alla capo di gabinetto del Ministero della Giustizia, Giusi Bartolozzi. La Giunta per le Autorizzazioni, con il solo voto favorevole della maggioranza, aveva già chiesto un’integrazione documentale e secondo quanto comunicato dal presidente Devis Dori (Avs), la Procura di Roma avrebbe confermato l’iscrizione di Bartolozzi nel registro degli indagati per l’articolo 371 bis del codice penale (false informazioni al pubblico ministero). Per il momento, il procedimento resta separato rispetto a quello che coinvolge i membri del Governo e, anzi, il presidente Doris insiste nel sottolineare che in Giunta non c’è alcun caso Bartolozzi.
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