Attualità

Manovra, ecco i primi ostacoli: banche e coperture

di Giovanni Vasso -


Anche quest’anno sarà una manovra a ostacoli. Sbarazziamoci subito della cronaca di giornata: il Mef prevede la crescita allo 0,5% quest’anno e allo 0,7% per il prossimo ritenendo che il rapporto deficit-Pil si attesterà attorno al 3 per cento; Giorgetti va al Senato a dire che il governo si opporrà alla cedolare secca per le imprese; mercoledì prossimo, invece, dovrebbe arrivare in consiglio dei ministro il documento programmatico di bilancio che sostituisce la vecchia Nadef e da cui emergeranno le stime macroeconomiche e i conti pubblici del prossimo triennio. In pratica, l’indirizzo generale della manovra che verrà. Ora le cose serie. Ossia il nodo delle coperture. Qualche cifra già si intravede all’orizzonte. Per fare il taglio del secondo scaglione Irpef (dal 35% al 33%), il governo deve racimolare almeno 2,5 miliardi. Che saliranno a quattro se volesse estenderlo ai redditi fino a 60mila euro. Contestualmente, la pace fiscale – ossia la nuova rottamazione – costerebbe (almeno) 1,5 miliardi. Queste, però, non saranno certo le spese principali né le più pressanti, tantomeno quelle in cima alle priorità. Il governo, difatti, sarebbe intenzionato a non dirottare un euro derivante dal risparmio sugli interessi per il debito, causa abbassamento dello spread, a nient’altro che non sia la riduzione del deficit. L’obiettivo, difatti, è raggiungere il 3% e uscire, quanto prima, dal Patto di stabilità. I conti, come insegna lo sport, si fanno alla fine. Intanto, però, bisogna prepararsi. Dai numeri del concordato e del ravvedimento ci si attende una mano d’aiuto per la copertura dei nodi. Altrimenti l’unica, nonostante l’aumento delle entrate fiscali, sarà andare a bussare alle banche. Che in Italia vincono sempre. Meloni, da New York, ha raccomandato ai suoi di scegliere bene, rispetto alle misure annunciate, quali siano le priorità. Ha chiesto un cambio di passo nei rapporti: “Non dobbiamo punire nessuno ma cercare alleati per le grandi priorità”. Un cambio di postura che non cambia la richiesta di aiuto. Su cui le banche non sono per nulla entusiaste. E già il presidente Abi Antonio Patuelli ha iniziato a lamentare rischi per il settore di fronte all’instabilità generale. Un modo, come un altro, per alzare la posta. Intanto il segretario Fabi, Lando Maria Sileoni, ha spiegato al Parlamento che un’eventuale tassa sugli extraprofitti sarà pagata dai correntisti e dai lavoratori. Le banche, in pratica, scaricherebbero immediatamente il costo su clienti e sui loro dipendenti. Insomma, impegnate come sono a fondersi a colpi di cartuscelle (“di soldi se ne vedono pochi”, ebbe a dire Giorgetti a proposito del risiko), eviterebbero volentieri di venir disturbate. Se l’accordo ci sarà, lo schema resterà quello delle Dta, gli “anticipi” differiti sulle tasse. Un miliardo e mezzo, non di più. Quanto servirebbe per coprire qualche misura della manovra, a ostacoli ancora una volta. Le banche in Italia vincono sempre.


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