La Global Sumud Flotilla è intenzionata a sfidare Israele. I suoi attivisti non vogliono fermarsi prima della destinazione finale, Gaza, che è una zona di guerra. La Marina israeliana, proprio nel porto in cui si vorrebbero far convergere gli aiuti umanitari, ha predisposto un servizio di sorveglianza molto stretto della fascia costiera per evitare vie di rifornimento con Hamas via mare. Meno percorribile ancora appare la soluzione della spiaggia. L’impressione di molti è che i leader della Flotilla puntino a farsi fermare per suscitare clamore e costringere in un certo senso i Paesi di provenienza a reagire contro Israele. Una strategia rischiosissima che non porterà alcun vantaggio alla popolazione palestinese, stremata dalle bombe e dalla fame.
Il supporto marittimo alla Global Sumud Flotilla è limitato
L’intervento della fregata multiruolo Fasan della Marina militare italiana autorizzato dal ministro della Difesa Crosetto, è limitato. Questo lo sa anche chi è a bordo delle imbarcazioni. Fonti della Farnesina hanno riferito che il ministro degli Esteri Antonio Tajani sta lavorando a una mediazione con il governo di israeliano per permettere l’ingresso a Gaza dei beni umanitari trasportati dalla Flottilla. La soluzione proposta anche dalla premier Giorgia Meloni, prevede la consegna degli aiuti a Cipro e il coinvolgimento del cardinale Pizzaballa. Si tratterebbe di un’opzione fruttuosa e dai rischi contenuti.
Gli errori comunicativi degli attivisti
Non utile, al contrario, è il linguaggio utilizzato da chi, come Nkosi Zwelivelile Mandela, ex parlamentare sudafricano, intervenendo alla conferenza stampa internazionale della Global Sumud Flotilla ha parlato di “livello di disperazione dell’entità sionista”. Una sfida aperta al premier Benjamin Netanyahu e al suo esecutivo, che avrà sicuramente delle conseguenze. Netanyahu ha già fatto vedere di non farsi scrupoli quando deve forzare la mano. “Chiediamo a governi, organizzazioni della società civile, formazioni statali, organizzazioni religiose e agenzie per i diritti umani di far pressione sull’entità sionista per fermare i suoi attacchi”, ha ripetuto Mandela.
La decisione dei governi italiano e spagnolo di inviare imbarcazioni che osservano e navigano accanto alla flottiglia, non deve ingannare né illudere. Ad un certo punto lo Stato ebraico interverrà. Né Meloni né gli altri leader potranno fare nulla di concreto. L’Assemblea generale Onu ha dimostrato plasticamente le condizioni in cui versa la comunità internazionale attualmente.
La proposta di Israele
Dopo il no della Flotilla alla proposta del governo italiano per portare gli aiuti a Cipro e trasferirli al patriarcato di Gerusalemme, Israele ha giocato d’astuzia dichiarandosi “ancora pronto a impegnarsi in qualsiasi accordo costruttivo per trasferire gli aiuti in modo legale e pacifico”. A scriverlo su X è stato il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar. Si tratta di un prendere o lasciare.
L’attacco di Abbas
“Quello che Israele sta portando avanti” nella Striscia di Gaza “non è solo un’aggressione, è un crimine di guerra e contro l’umanità”, ha tuonato il capo dell’Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, nel suo intervento in videocollegamento alla sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite dopo che l’Amministrazione Trump non gli ha concesso il visto per recarsi a New York. Abbas ha iniziato il suo discorso denunciando come da “quasi due anni”, da quando sono iniziate le operazioni militari israeliane nella Striscia in risposta all’attacco del 7 ottobre 2023 in Israele, i “palestinesi a Gaza” vivano con una “guerra di genocidio”. Ha ricevuto attestati di vicinanza, parole di conforto, generiche promesse di sostegno, ma poco o nulla di concreto accadrà. L’uomo più potente della terra, il capo della Casa Bianca Donald Trump, e il premier più isolato del mondo, Benjamin Netanyahu, vanno avanti a testa bassa.
Netanyahu e Trump non si fermeranno
All’interno della stessa architettura di potere palestinese ci sono fragilità. Hamas e altre fazioni, ha sostenuto Abbas, dovranno consegnare le loro armi all’Autorità nazionale palestinese, nel quadro di un processo per costruire le istituzioni di un unico Stato. Un’utopia che sia Trump che Netanyahu sfrutteranno.