L’Antitrust ha irrogato una sanzione da quasi un miliardo di euro per le compagnie petrolifere accusate di aver fatto cartello proprio in quegli anni in cui la benzina superò, a più riprese, i due euro al litro: una tegola che finisce in testa, prima degli altri, a Eni. Accusata di aver avuto un ruolo strategico e decisivo nel grande accordo tra le compagnie, che deterrebbero da sole quasi il 90% del mercato italiano, nel grande affare delle componenti bio da aggiungere al carburante. Nelle 189 pagine del provvedimento che, ieri mattina, l’Antitrust ha notificato alle aziende c’è lo schema che sarebbe stato utilizzato per mandare avanti l’intesa. Il biocarburante sarebbe stato acquistato da tutti allo stesso prezzo, 26 euro al metro cubo, in barba a ogni concorrenza. E, quando ci sarebbe stato da fare gli aumenti o da indicare la direzione da prendere, sarebbe stata Eni ad assumersi la responsabilità dialogando colla stampa di settore, di snocciolare numeri e dati a cui gli altri si sarebbero adeguati. Un affare semplice ma redditizio, secondo l’autorità garante, che ha corredato il suo dossier di numerose mail che sarebbero state scambiate tra i vari dirigenti delle aziende coinvolte. Oltre a Eni, a finire nell’istruttoria – innescata da un wisthlebrowler, ossia da una fonte interna che ha spiattellato tutto all’autorità garante fornendo materiale a supporto delle accuse e aiutandola a ricostruire gli schemi sanzionati – sono state Esso, Ip, Q8, Saras, Tamoil. Le sanzioni sono più che salate: Eni è stata multata per 336.214.660 euro, Esso per 129.363.561 euro, Ip per 163.669.804 euro, Q8 per 172.592.363 euro, Saras per 43.788.944 euro e Tamoil per 91.029.755 euro. In totale poco più di 936 milioni di euro, quasi un miliardo. Che le aziende energetiche non hanno la minima intenzione di rifondere allo Stato italiano.
Già, perché la versione delle imprese è diametralmente opposta. A cominciare proprio da Eni: “L’impianto accusatorio si fonda su una ricostruzione artificiosa che ignora le logiche di funzionamento del mercato e travisa la realtà dei fatti”, tuonano da San Donato Milanese. E ancora: “L’Agcm ignora le evidenze emerse nel corso dell’istruttoria, che dimostrano come Eni e gli altri operatori abbiano sempre agito in autonomia e spesso in disallineamento, così come infondate risultano anche le valutazioni riguardo alla pubblicazione dei prezzi sulla stampa di settore, dato che le informazioni relative alla variazione dei prezzi della componente bio erano già note al mercato e, quindi, non in grado di condizionare le dinamiche concorrenziali”. Eni non ci sta e accusa l’Antitrust di averla messa nel mirino senza una buona ragione: “La decisione dell’Agcm appare ancora più paradossale se si considera che riguarda una componente, imposta da obblighi normativi, che incide solo per pochi centesimi al litro sul prezzo al consumo del carburante e colpisce ingiustificatamente condotte commerciali corrette e trasparenti, disincentivando l’efficienza e l’innovazione in un settore strategico per il Paese”. Quindi la reazione: “Un simile approccio, purtroppo non nuovo da parte dell’Autorità, rischia di penalizzare ulteriormente gli investimenti industriali italiani nella transizione energetica. Oltre al danno derivante da un’ingiusta sanzione, di importo assolutamente abnorme, il provvedimento odierno costituisce inoltre un ennesimo grave danno reputazionale per Eni, che viene accostata a pratiche collusive alle quali è del tutto estranea”. Insomma, Eni promette all’Antitrust una guerra legale ferocissima. In cui si troverà, al suo fianco, tutte le altre aziende che contestano con forza la ricostruzione del garante.
La notizia non è passata inosservata anche perché insiste su un argomento che è costato, e costa ancora, carissimo agli italiani. I consumatori sono infuriati. C’è chi chiede rimborsi, come l’Udicon. Chi pretende ristori, come Assoutenti. Tutti, dal Codacons all’Unione nazionale consumatori, parlano di “vergogna” e di “gravissime violazioni”. Unimpresa fa i conti e lamenta che il presunto cartello delle aziende energetiche sarebbe costato fino a 700 milioni di euro alle già traballanti pmi. Perché, oltre a pesare sui costi vivi del carburante, l’intesa asserita dall’Antitrust e rigettata dalle aziende avrebbe inciso (anche) sull’inflazione facendo salire i costi dei beni prodotti e, dunque, trasportati specialmente nel cosiddetto ultimo miglio. La polemica è sbarcata, da subito, anche sul piano politico con il Partito democratico che già infilza il ministro Adolfo Urso accusandolo di “non essersi accorto di nulla” mentre i prezzi dei carburanti andavano alle stelle e gli italiani non sapevano più a che santo votarsi.