Intervista a Michele Calì: “Il cinema non è in crisi, lo hanno fatto morire”
Da sinistra: Francesca Loy, Giancarlo Giannini, Michele Calì al Festival del Cinema di Venezia
“Il cinema non è in crisi, lo hanno fatto morire”: con queste parole Michele Calì, produttore con quarantadue anni di carriera e collaborazioni con maestri come Fellini e Zeffirelli, denuncia pubblicamente un sistema che definisce “drogato da favoritismi e incompetenza”. Il progetto in questione è Con un filo di voce, un cortometraggio dedicato a un tema drammatico come la violenza sulle donne. Un film nato con un intento sociale ed educativo, che però si è scontrato con la macchina burocratica delle Commissioni del cinema: bandi scritti male, valutazioni opache, punteggi arbitrari. Per Michele Calì, la sua vicenda è il simbolo di un sistema che “non funziona più e che ha finito per soffocare il cinema invece di sostenerlo”.
Michele Calì: “Fondi pubblici a film fantasma così affonda il cinema”
Partiamo dall’inizio: come nasce l’idea di “Con un filo di voce”?
“L’idea iniziale era quella di fare un film vero e proprio, ma ho deciso di trasformarlo in un cortometraggio: quello della violenza sulle donne è un tema purtroppo attuale e volevo che il corto fosse uno strumento educativo, anche adatto alle scuole. E volevo che fosse uno strumento educativo. La violenza sulle donne è una tragedia quotidiana: ogni giorno una donna viene uccisa, ogni giorno leggiamo nuove storie che ci raccontano la stessa barbarie. Mi sembrava doveroso provare a fare la mia parte, con un linguaggio che conosco bene, quello del cinema. Con questa convinzione mi rivolgo all’assessorato regionale alla Cultura e all’assessore Cristiano Corazzari. Al principio non pensavo al bando: sono andato a chiedere un contributo diretto. Perché immaginavo già come sarebbe andata a finire facendo richiesta tramite il bando. Dopo quarantadue anni di carriera, so come funzionano questi meccanismi. Però l’assessore ha insistito, rassicurandomi anche che avrebbe seguito la nostra pratica. E così, controvoglia, ho fatto domanda”.
Cosa è accaduto dopo la domanda?
“Io sono in pensione e la mia società storica è stata chiusa. Quindi il film lo ha prodotto la Cinevideo Production, che è di mia moglie e che è nata nel 2022. Non aveva curriculum, ovviamente. La prima voce del bando è il ’Company Profile’, cioè il curriculum della società. Io lo dico chiaramente: non c’è. A quel punto i dirigenti mi indicano di inserire il mio. Io ho quarantadue anni di cinema, un curriculum sterminato… mi fido e seguo il consiglio. Risultato? Zero punti al Company Profile. Poi arrivano i punteggi: alla sceneggiatura danno 4, al cast danno 4. Eppure tra gli attori c’è Giancarlo Giannini, unico attore italiano vivente con la stella a Hollywood. Alla fine totalizzo 38 punti: ne servivano 40 per passare. E con 38 sei escluso. Ma attenzione: il 38 è un numero che torna spesso. È un modo per liquidarti senza darti possibilità di ricorso. È come dire: ci sei andato vicino, ma non abbastanza. Non è un caso, è un meccanismo. E io, che avevo seguito le indicazioni dei dirigenti, mi sono ritrovato escluso perché indotto all’errore e poi punito per quello. Una beffa”.
Lei sostiene che ci siano favoritismi e logiche chiuse.
“È così. Ci sono società che non sbagliano mai. Sempre finanziate, sempre dentro. Non falliscono mai una domanda. Le faccio un esempio: una di queste ha ricevuto 400 mila euro per un debutto alla regia. Io, con un corto sociale, avrei ricevuto 40 o 50 mila euro. Ma i soldi veri vanno agli stessi, sempre. E non è solo un problema veneto: è così in tutta Italia. Le Film Commission funzionano tutte nello stesso modo: clientelismo, logiche opache, mancanza di criteri trasparenti. Io ho chiesto ufficialmente, con PEC, i nomi della commissione che mi ha valutato. Non ho mai ricevuto risposta. Ma stiamo parlando di soldi pubblici, sette milioni stanziati dal 2021 al 2027. Com’è possibile che io non possa sapere chi mi ha giudicato? È come essere condannati in tribunale senza sapere da chi è composta la corte. Una follia”.
Intanto il suo film a Venezia è stato accolto con calore.
“Esatto. Ho presentato Con un filo di voce al Festival del Cinema di Venezia, nel padiglione della Regione Veneto. La sala era strapiena, il pubblico ha applaudito a lungo. Ho persino invitato l’assessore Corazzari. Lui è venuto, ha parlato tre minuti dicendo che la Regione sostiene questo tipo di iniziative. Ma allora io mi chiedo: in che modo la Regione ha sostenuto il mio film? In nessuno. Zero. Eppure sul palco ha parlato come se ci fosse stato il loro contributo. È la contraddizione più grande: da una parte mi danno 4 punti, dall’altra usano il mio lavoro come vetrina. Da una parte mi bocci, dall’altra ti prendi i meriti. Non è accettabile”.
Il suo giudizio sul sistema è durissimo: “Il cinema è morto”.
“Perché è la verità. Io ho lavorato con grandi maestri, so cos’è il cinema e so riconoscere la sua qualità. Oggi vedo un sistema marcio. Il cinema non è in crisi, lo hanno fatto morire. Non è crisi, è un omicidio. Hanno ucciso il cinema con favoritismi, incompetenza, mancanza di trasparenza. Le sceneggiature vengono valutate da persone che non hanno mai fatto cinema. I punteggi sono arbitrari. La mia sceneggiatura, a Venezia, ha fatto alzare in piedi una sala a battere le mani. Per la commissione valeva 4 punti. Allora il problema non è il cinema, ma chi lo giudica e come vengono spesi i soldi pubblici. Io non chiedo finanziamenti, chiedo trasparenza. Chiedo che le commissioni siano composte da registi, sceneggiatori, produttori. Persone che sanno di cosa parlano. Finché il sistema resterà questo, il cinema italiano continuerà a morire. E non per mancanza di idee, di artisti o di pubblico, ma per colpa di chi dovrebbe sostenerlo e invece lo soffoca”.
Torna alle notizie in home