Truffe digitali: costano un miliardo e paghiamo noi
E la percentuale degli italiani che non denunciano è altissima: quasi il 40%
Truffe digitali: costano un miliardo e paghiamo noi. Con la digitalizzazione dei servizi bancari (e assicurativi) è accaduto che si siano chiusi, a raffica, gli sportelli bancari sui territori. E mentre i sindacati latravano a cose fatte (ma questa è una vecchia storia…) di desertificazione, ecco che l’Italia verificava la prima, strana ma nemmeno troppo imprevedibile, conseguenza della sparizione di agenzie e sportelli: i rapinatori si son trovati senza uffici da rapinare e hanno dovuto cambiare mestiere. E il rischio di finire svaligiati è passato direttamente in capo ai clienti.
Truffe informatiche, numeri da capogiro
Fossero nato oggi, Renato Vallanzasca e Albert Spaggiari sarebbero stati hacker e invece di passare la vita in galera si sarebbero goduti un’esistenza nemmeno troppo di lusso in bitcoin tra la cameretta di casa di nonna e qualche spiaggia (non per forza virtuale) alle isole Vergini. Tanto, alla fine, nessuno denuncia neanche più. I numeri delle sole truffe informatiche sui conti correnti bancari degli italiani sono imponenti.
La media nazionale dei raggirati è pari al 4,7% dei cittadini, il bottino per il solo 2024, è stato quantificato da un’indagine commissionata da Facile.it a mUp Research e Norstat, in circa un miliardo di euro, per la precisione 970 milioni di euro. Una cifra enorme che a recuperarla ci si pagherebbe, di nuovo, la Circonvallazione ferroviaria di Roma.
Ma si tratta di un importo indicato per (ampio) difetto, già perché stando alla stessa indagine, la percentuale degli italiani che non denuncia è altissima: quasi il 40%. Un po’ perché, in fondo, vanno via somme lievi. Un altro po’ perché non ci si vuole impelagare in spese per un procedimento giudiziario che, poi, alla fine non si sa mai come potrà andare a finire.
E, infine, perché c’è sempre la paura dello stigma di unire al danno della truffa subita la beffa di essere considerati degli sciocchi. Anche dalle stesse banche. Già, perché in capo agli istituti c’è l’obbligo di risarcire il cliente che denuncia sottrazioni di denaro a seguito di operazioni fraudolente.
Solo che, però, la banca non dovrà rifondere nulla se dimostrerà, insieme alla colpa e alla negligenza del cliente stesso, di aver fatto il possibile per evitare le truffe. Insomma, avete presente quei messaggi che vi mandano in continuazione sullo smartphone?
Ecco, i “consigli” contro il phishing e gli altri tentativi di truffa servono agli uffici legali del vostro istituto di credito, nel caso cadiate vittima di una truffa, a dire al giudice di avervi avvertito, a più riprese, dei rischi che correvate. Insomma, per essere davvero sicuri c’è bisogno di fidarsi, ma solo di se stessi e attivare tutte le procedure digitali (a cominciare dalle notifiche in tempo reale) diffidando di ogni comunicazione che sembra arrivare dalla nostra banca. Sia tramite mail (il canale preferito dei truffatori, utilizzato in oltre il 45% dei casi) che tramite sedicenti call center (un terzo dei “colpi”, il 33%, corre via telefono).
E, soprattutto, nessuno creda che si tratti di un problema che affligge gli anziani. Loro hanno già il loro bel daffare coi falsi marescialli, i sedicenti avvocati, i corrieri fraudolenti. Le truffe sui conti correnti affliggono, più di tutti, i giovani: la media di incidenza, per la fascia d’età 25-34, sale al 7,3% (rispetto al
4,7% nazionale) e addirittura vola al 9,6% in quella dei giovanissimi tra i 18 e i 24 anni.
Truffe assicurative: centinaia i siti web fraudolenti
Se le banche ci fanno penare, le assicurazioni ci fanno dannare. L’Ivass, l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni, ha già chiuso, dal novembre del 2023 e fino all’inizio di settembre di quest’anno, 275 siti ritenuti abusivi che erano dediti a vendere, in maniera fraudolenta, polizze agli internauti.
Siti che vengono descritti dall’Ivass come il tripudio della banalità: assicurazioni che verrebbero vendute senza manco indicare i dati della targa del veicolo da assicurare, con documenti spediti direttamente su Whatsapp (e chi non lo fa, al giorno d’oggi?), mail che arrivano da domini generici (e chi non le usa?).
Il problema, al solito, è che la scoperta di aver subito una truffa arriva solo davanti alla paletta dei carabinieri al posto di blocco. Esibiti i documenti, gli agenti delle forze dell’ordine non possono che verificare come i veicoli non risultino assicurati. E se nel frattempo, come capita a tanti, si passano anni a utilizzare l’auto per brevi tragitti quotidiani senza mai incappare nei controlli delle pattuglie?
Ecco, dunque, un’altra truffa al limite del delitto perfetto. Somme ragionevoli, fiducia carpita e tanti saluti. A chi serve, dunque, dotarsi di un mitra, di una pistola, sobbarcarsi una vita vagando tra le fogne sognando il caveau della Société Générale di Nizza quando bastano un computer, una connessione a internet e nemmeno troppa inventiva?
Un consumatore semplice penserebbe che si tratti solo del (grande) affare delle Rca false, l’anticamera del meraviglioso mondo delle truffe assicurative quello che è universalmente riconosciuto come causa prima e immanente del costo, sempre più alto, delle polizze che le persone perbene (che in questo Paese sono la netta maggioranza, persino al Sud a onta di ogni odioso luogo comune) sono costrette a pagare.
Invece c’è tutto un fiorire di polizze fideiussorie scalcinate, arrabattate e fasulle che gira proprio attorno ai siti falsi del web. E pensare che, come spiegavano una volta i grandi maestri del diritto civile, la fideiussione era il sommo “favore” che si chiedeva al migliore amico. Di amici, al giorno d’oggi, non ce n’è. Tantomeno sul web e, con ogni probabilità, nemmeno in filiale. Occorre farsene una ragione.
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