Attualità

Due giustizie, una terra: il sistema giuridico duale in Cisgiordania

di Priscilla Rucco -


Nel cuore del Medio Oriente, su una striscia di terra che misura appena 5.860 chilometri quadrati, si consuma quotidianamente una delle più complesse contraddizioni del diritto internazionale contemporaneo. La Cisgiordania, territorio palestinese occupato da Israele dal 1967, è diventata il teatro di un esperimento giuridico senza precedenti. La coesistenza di due sistemi legali paralleli che si applicano a persone diverse in base alla loro nazionalità.

Un territorio, due leggi

Quando le forze israeliane attraversarono il fiume Giordano nel giugno del 1967, conquistarono quella che oggi chiamiamo Cisgiordania. Non si limitarono a occupare militarmente il territorio. Nel corso dei decenni successivi, nonostante le ripetute risoluzioni delle Nazioni Unite che chiedono il ritiro dalle terre occupate, Israele ha costruito un complesso sistema amministrativo e giuridico che governa diversamente israeliani e palestinesi che vivono sulla stessa terra. Da una parte, i circa 450mila coloni israeliani che risiedono negli insediamenti della Cisgiordania sono soggetti al diritto civile israeliano. Possono votare alle elezioni, sono processati dai tribunali civili israeliani, godono delle stesse protezioni costituzionali di qualsiasi cittadino israeliano. I loro figli frequentano scuole israeliane, seguono il curriculum nazionale, sono protetti dalle stesse leggi che tutelano i minori in tutto Israele. Dall’altra parte, i circa 2,8 milioni di palestinesi che abitano lo stesso territorio vivono sotto un regime completamente diverso: la legge marziale. Non possono votare per il governo che controlla le loro vite, sono processati da tribunali militari, le loro libertà di movimento, espressione e associazione sono severamente limitate. E quando si tratta dei loro figli, le differenze diventano ancora più drammatiche.

I bambini sotto la legge marziale

Nel 2010, una modifica alle ordinanze militari israeliane ha abbassato l’età minima per i procedimenti penali contro i bambini palestinesi da 16 a 12 anni. Questa decisione ha creato una situazione in cui bambini palestinesi di appena dodici anni possono essere arrestati, interrogati e processati da tribunali militari per reati che, se commessi da coetanei israeliani, sarebbero gestiti dal sistema di giustizia minorile civile. Le statistiche parlano da sole: ogni anno, circa 500-700 bambini palestinesi vengono arrestati e processati dal sistema di giustizia militare israeliano. Spesso gli arresti avvengono durante incursioni notturne nelle loro case, senza la presenza di un avvocato o dei genitori durante gli interrogatori iniziali. I bambini israeliani della stessa età che vivono negli insediamenti, al contrario, beneficiano di tutte le protezioni previste dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dal sistema giudiziario civile. Questa disparità ha attirato l’attenzione di organizzazioni internazionali per i diritti umani. Il Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia ha espresso preoccupazione per il trattamento dei minori palestinesi, sottolineando come il sistema attuale violi principi fondamentali della giustizia minorile internazionale.

Le conseguenze di un sistema duale

Il sistema giuridico duale in Cisgiordania non è solo una questione tecnica di amministrazione territoriale. È una realtà che plasma la vita quotidiana di milioni di persone, creando una gerarchia di diritti basata sull’appartenenza nazionale ed etnica. Un bambino israeliano e un bambino palestinese possono vivere a pochi chilometri di distanza, frequentare scuole che si trovano sulla stessa collina, giocare negli stessi campi. Ma se entrambi commettono lo stesso errore – lanciare una pietra, partecipare a una manifestazione, essere semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato – le loro storie prenderanno direzioni completamente diverse. Il primo sarà protetto da un sistema di giustizia minorile che privilegia la riabilitazione, il secondo affronterà un tribunale militare che applica le regole del diritto bellico. Questa disparità non riguarda solo la giustizia penale. Si estende al diritto di costruire case, di accedere all’acqua, di muoversi liberamente, di ricevere un’educazione. Due popoli, una terra, ma due sistemi di diritti completamente diversi.

La sfida dei diritti umani universali

La situazione in Cisgiordania pone una domanda fondamentale: possono esistere diritti umani universali quando le stesse violazioni sono punite diversamente a seconda di chi le commette? Può un sistema giuridico che applica standard diversi a bambini diversi rivendicare legittimità morale? Queste non sono domande retoriche, ma interrogativi concreti che toccano il cuore della nostra comprensione contemporanea dei diritti umani. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 proclama che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia stabilisce che ogni bambino, indipendentemente dalla sua origine, ha diritto alla protezione e al giusto processo. Tuttavia, in Cisgiordania, questi principi universali si scontrano con una realtà complessa fatta di occupazione militare, sicurezza nazionale, rivendicazioni territoriali storiche e paure reciproche profondamente radicate.

Verso una riflessione più profonda

La coesistenza di due sistemi giuridici in Cisgiordania non è solo una questione che riguarda israeliani e palestinesi. È un caso di studio che interroga la comunità internazionale sulla propria capacità di far rispettare i diritti umani universali in situazioni di conflitto prolungato. Ogni volta che un bambino palestinese viene arrestato alle tre del mattino e processato da un tribunale militare, mentre il suo coetaneo israeliano che vive dall’altra parte del checkpoint gode delle protezioni della giustizia civile, non è solo la giustizia locale a essere messa in discussione. È l’intera “architettura” dei diritti umani internazionali che viene sfidata. La storia ci insegna che i sistemi giuridici duali – dove persone diverse sono soggette a leggi diverse per gli stessi crimini sulla stessa terra – raramente conducono alla pace duratura. Al contrario, tendono a perpetuare cicli di risentimento, ingiustizia percepita e conflitto. Forse è arrivato il momento di chiedersi se, dopo più di cinquant’anni di occupazione, non sia possibile immaginare un futuro diverso. Un futuro in cui tutti i bambini, indipendentemente dalla loro nazionalità, possano crescere sotto lo stesso cielo con gli stessi diritti fondamentali. Un futuro in cui la giustizia sia veramente cieca, non solo di fronte al colore della pelle, ma anche di fronte al passaporto che si porta in tasca. La risposta a questa sfida non sta solo nelle mani dei leader politici della regione, ma anche nella coscienza di una comunità internazionale che deve decidere se i diritti umani sono veramente universali o se esistono eccezioni geografiche e politiche alla loro applicazione. In fondo, la domanda che la Cisgiordania pone al mondo è semplice quanto difficile: crediamo davvero che tutti i bambini nascano liberi ed eguali in dignità e diritti?


Torna alle notizie in home