Attualità

La Flotilla con gli aiuti umanitari è a poco più di un giorno di navigazione da Gaza

Tensione a apprensione in aumento con l'avvicinarsi delle imbarcazioni al blocco navale israeliano

di Lino Sasso -


La Global Sumud Flotilla, con gli aiuti umanitari destinati alla popolazione di Gaza, continua la sua navigazione verso la Striscia con l’intento di sfidare il blocco navale imposto da Israele e aprire un corridoio umanitario stabile. Mancano circa 250 miglia, poco più di un giorno e mezzo di navigazione, all’ingresso nelle acque palestinesi. È questo il dato che preoccupa governi e cancellerie, mentre cresce la tensione attorno all’iniziativa. Gli organizzatori della missione hanno diffuso un comunicato in cui ribadisce la volontà di arrivare fino in fondo. “Ogni azione, in mare e a terra, è finalizzata a esercitare pressione sui governi affinché si ponga fine alle sofferenze della popolazione civile”, spiegano gli organizzatori, che respingono le accuse di voler forzare lo scontro politico.

Il governo italiano ribadisce l’invito alla prudenza

In Italia, la questione divide. Per la portavoce della delegazione italiana l’incontro del 28 settembre con il ministro della Difesa Guido Crosetto “non ha portato ad alcun impegno concreto”. Una scelta che viene paragonata a una “complicità” con la linea israeliana. Non si tratta soltanto di mancanza di iniziativa diplomatica: l’inerzia viene letta dagli organizzatori come una legittimazione tacita di un blocco che da anni viola il diritto internazionale e che vuole impedire alla Flotilla di giungere con gli aiuti a Gaza. La posizione ufficiale dell’esecutivo, ribadita dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, è chiara: “Abbiamo chiesto alla flottiglia di lasciare i beni a Cipro, per poi farli consegnare dal Patriarcato latino di Gerusalemme”, senza dunque spingersi fino a Gaza. Dietro le parole del vicepremier si legge un messaggio preciso: chi insiste a violare il blocco navale se ne assume i rischi. La Marina militare italiana, spiega Tajani, “è presente solo per motivi umanitari, non con compiti militari”, ma non metterà in pericolo la vita dei marinai “per un’iniziativa politica che abbiamo sconsigliato”. Un approccio che lascia trasparire il forte timore di incidenti con Israele.

La mossa della Turchia

Diverso l’atteggiamento della Turchia, che ha annunciato di monitorare la sicurezza della Flotilla in missione per portare gli aiuti Gaza e di essere pronta, se necessario, a inviare navi militari per attività di soccorso e supporto umanitario. Non un sostegno militare alla rottura del blocco, ma un segnale politico forte: Ankara potrebbe voler essere presente là dove altri governi europei scelgono di arretrare. Il comunicato del ministero della Difesa turco parla di “missioni di aiuto in conformità con il diritto internazionale e i valori umanitari”. Una formula che conferisce legittimità internazionale alla flottiglia, e che spinge implicitamente gli altri Paesi a uscire dall’ambiguità.

Una vicenda che riapre vecchie ferite

L’avanzata della Flotilla con gli aiuti per la popolazione di Gaza richiama alla memoria la tragedia del 2010 con l’assalto alla Mavi Marmara, quando l’intervento israeliano provocò vittime e scosse profondamente la diplomazia internazionale. Oggi, a distanza di anni, il rischio di un nuovo incidente è tutt’altro che remoto. La differenza è che, nel frattempo, la situazione a Gaza si è ulteriormente aggravata. Blocchi, bombardamenti e crisi umanitarie ripetute hanno reso la Striscia un territorio in cui la sopravvivenza quotidiana dipende dagli aiuti esterni. E proprio qui si gioca la partita che appare giorno dopo giorno sempre più politica che umanitaria: non sulla capacità della Flottiglia di forzare realmente il blocco israeliano per recapitare gli aiuti a Gaza, ma sulla sua forza simbolica forzare la mano a governi e istituzioni per costringerli a una scelta netta.


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