Hamas sta esaminando il piano di pace per Gaza in 20 punti del presidente Usa Donald Trump
La Global Sumud Flotilla è sempre più vicina alla zona ad alto rischio, dove altre imbarcazioni, in precedenza, sono state intercettate. Al momento è difficile immaginare un epilogo simile a quello del 2010, quando la marina dello Stato ebraico abbordò una nave turca della Freedom Flotilla, causando morti e feriti. Più probabile è l’irruzione a bordo dei militari israeliani, con l’arresto di parte degli attivisti. In tale direzione conduce l’annuncio da parte delle Idf del reperimento di documenti ufficiali di Hamas, rinvenuti nella Striscia di Gaza, che dimostrerebbero il coinvolgimento del gruppo nel finanziamento della Flotilla. A fungere da collante tra i miliziani e i “naviganti” sarebbe la Pcpa (Palestinian Conference for Palestinians Abroad), creata nel 2018 come braccio internazionale del movimento e designata nel 2021 da Israele come organizzazione terroristica. Abu Kashk, oltre a far parte della Pcpa, è Ceo di Cyber Neptune, società spagnola che possiede decine di navi partecipanti alla “Sumud”. La diplomazia continua a lavorare, ma tra poco la Flotilla si troverà di fronte ad un bivio: cambiare rotta o essere da sola contro le navi militari di Tel Aviv.
Hamas studia il piano di pace di Trump svuotato da Netanyahu
Sulla terraferma si attende la risposta di Hamas al piano di pace per Gaza in 20 punti del presidente Donald Trump, svuotato e destrutturato dopo la conferenza stampa alla Casa Bianca dal suo alleato di ferro, il premier israeliano Benjamin Netanyahu. “Bibi” non ha perso tempo e, anche per evitare di perdere la poltrona di primo ministro, ha escluso il ritiro dei militari israeliani dalla Striscia di Gaza e il riconoscimento dello Stato di Palestina. La proposta trumpiana, già totalmente sbilanciata a favore di Israele, è monca. Non c’è alcuna garanzia che, una volta che Israele avrà riavuto gli ostaggi, Netanyahu non farà riprendere le ostilità. E non è chiaro il punto che riguarda il ritiro israeliano da Gaza.
“Finora, non conosciamo la risposta di Hamas al piano del presidente Trump, che richiede un accordo con le altre fazioni palestinesi”, ha affermato il premier e ministro degli Esteri del Qatar, Mohammad Bin Abdel Rahman Al Thani, in una intervista ad Al Jazeera. Secondo il premier del Qatar, “il piano di Trump stabilisce un obiettivo principale, ovvero porre fine alla guerra”, ma “ci sono questioni necessitano di chiarimenti e negoziati”. Per il capo del governo di Doha, inoltre, “il piano è ancora nelle sue fasi iniziali e necessita di sviluppi. Stiamo cercando di creare un percorso che preservi i diritti dei palestinesi”. Tre ulteriori conferme della natura più che altro scenica dell’esibizione del duo Trump-Netanyahu. I “nodi” principali sono irrisolti.
L’Anp vuole sfruttare l’occasione, cooperando con gli Usa
Più morbida l’Autorità palestinese, che ha ribadito il suo “impegno” a lavorare al programma di riforme e la volontà di collaborare con gli Stati Uniti, i Paesi della regione e i partner per porre fine alla guerra a Gaza con un “accordo globale” che garantisca una consegna sufficiente di aiuti umanitari a Gaza, il rilascio di ostaggi e prigionieri e la creazione di meccanismi per proteggere il popolo palestinese, assicurare il rispetto del cessate il fuoco e la sicurezza, oltre a scongiurare l’annessione di terre, fermare lo sfollamento dei palestinesi e azioni unilaterali che violano il diritto internazionale. L’Anp vuole regolare i conti con Hamas, sfruttando l’intervento di terzi. Ma potrebbe non averli fatti con l’estrema destra israeliana, che la vuole fuori dal futuro governo di Gaza.
Le ombre su Tony Blair
A far discutere è anche il ruolo apicale previsto per il premier britannico Tony Blair. “Sarò con te a qualsiasi costo”, scrisse Blair in una lettera riservata indirizzata al presidente americano George Bush. Era il luglio del 2002, otto mesi prima che gli anglo-americani invadessero l’Iraq, dando inizio a una guerra ingiustificata, visto che nulla provava la presenza di armi di distruzione di massa negli arsenali di Saddam Hussein. Il Chilcot report diffuso a Londra nel 2016, inchioda impietosamente l’ex premier britannico. La sua disastrosa decisione avrebbe spianato successivamente la strada ai tagliagole dell’Isis.