Gli interessi politici particolari hanno preso il sopravvento sulla questione umanitaria
Un signore cinese nativo di Shaoshan, sicuramente noto a buona parte degli attivisti della Global Sumud Flotilla, scrisse che la “rivoluzione non è un pranzo di gala”. Men che meno è un gioco, soprattutto quando ci si muove in uno scenario di guerra, dove libroni e libelli, giuridici e non, valgono poco o nulla. La Flotilla non ha voluto cambiare rotta. Mutati, invece, sono i suoi obiettivi, più “politici” e meno “umanitari”.
Gli appelli e il muro della Global Sumud Flotilla
Nella giornata di ieri si sono moltiplicati gli appelli al senso di responsabilità dei suoi capi. A Italia, Spagna e Grecia si è unito il Portogallo. Rinnovata la richiesta di accettare l’offerta del Patriarcato Latino di Gerusalemme di consegnare in sicurezza gli aiuti destinati alla gente sofferente di Gaza. Per pura tattica, si è fatto sentire anche il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar che, dopo aver bollato la missione come una “provocazione di Hamas-Sumud”, ha pregato gli equipaggi di trasferire pacificamente a Gaza tutti gli aiuti a loro disposizione attraverso il porto di Cipro, il porto turistico di Ashkelon o qualsiasi altro porto della regione. Chi conosce il modo di operare di Tel Aviv, può comprendere senza troppi problemi il significato di tali parole. Non sono un atto di “cortesia, riguardo e magnanimità”, avrebbe aggiunto il cinese di cui sopra. L’invito alla calma e alla ragionevolezza, dovrebbe valere ancora di più per gli “sponsor” della flotta. “Se – e io mi auguro di no – dovesse succedere questa notte o nelle prossime un blocco della Flotilla, un sequestro delle navi, arresti, noi siamo pronti a proclamare anche lo sciopero generale”, ha affermato il leader della Cgil, Maurizio Landini, al termine dell’incontro tra i sindacati e Confindustria. Gli sviluppi sarebbero facilmente prevedibili: manifestazioni, disagi per i cittadini, devastazioni, polemiche di parte. E soprattutto oscuramento della questione principale: la fame dei palestinesi.
“Penso che dopo gli appelli che sono stati fatti dal Presidente Mattarella e da altri leader europei, il rischio di una iniziativa che diceva di nascere per una questione umanitaria – e poi si è scoperto che era per forzare un blocco navale – assume dei contorni che sono incredibili”, ha detto la premier Giorgia Meloni al suo arrivo al Consiglio europeo informale di Copenaghen. Mirato il suo attacco: “Esercitare la responsabilità e attendere mentre c’è un negoziato di pace è forse la cosa più utile che si può fare per alleviare le sofferenze del popolo palestinese. Ma forse le sofferenze del popolo palestinese non erano la priorità”.
La risposta di Hamas al piano di Trump
Si attendono sviluppi anche per la risposta di Hamas al piano del presidente statunitense Donald Trump per porre fine alla guerra nella Striscia di Gaza. Il gruppo ha chiesto ai mediatori qatarioti ed egiziani di “apportare alcune modifiche” che riguardano principalmente il disarmo, l’esilio e la necessità di garanzie per un ritiro completo delle forze israeliane da Gaza. Il movimento islamico di resistenza ha richiesto che la gestione della Striscia di Gaza sia affidata ad “un comitato palestinese, anziché a un’entità internazionale” e la definizione di un “crono-programma chiaro e dettagliato per il ritiro completo delle forze israeliane da Gaza”.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito che le sue truppe rimarranno nella maggior parte delle aree della Striscia anche dopo il rilascio degli ostaggi, confermando il rifiuto categorico alla creazione di uno Stato palestinese.
Gaza e la mossa del tycoon
I militari israeliani sono prossimi al completo accerchiamento della città di Gaza. Lo ha reso noto il ministro della Difesa israeliano Israel Katz, specificando che le Idf stanno attualmente conquistando la parte occidentale del corridoio Netzarim, a sud di Gaza City, fino alla costa, dividendo Gaza in due tra il nord e il sud.
Hamas non si fida di Israele. Scettico rispetto alla capacità del suo alleato di mantenere i patti è anche Trump, a giudicare dalla firma di un ordine esecutivo in base al quale qualsiasi attacco armato al territorio, alla sovranità o alle infrastrutture critiche del Qatar sarà considerato una minaccia alla pace e alla sicurezza degli Stati Uniti. Il tempo delle parole è scaduto per tutti. “Game over”.