LIBERALMENTE CORRETTO – Cattolici e liberali oltre i luoghi comuni
Un luogo comune vuole che il cattolicesimo si opponga al libero mercato, chiamato dispregiativamente capitalismo. Se ne può evidenziare la fallacia, sul piano storico e teoretico. La storia risorgimentale d’Italia ha visto contrapposti cattolici e liberali, al punto che la Chiesa inibì ai suoi fedeli la partecipazione attiva alla politica dello Stato unitario con la bolla del “non expedit”. La contingenza storica non è sufficiente a fondare un’antitesi insanabile. Altri fatti storici sono di segno esattamente opposto. Le prime forme moderne di libero mercato nacquero nelle aree di cultura cattolica.
Nei comuni italiani, non succubi della potestà temporale dell’impero e tutelati dall’autorità spirituale della Chiesa, si poterono insediare governi autonomi e presero forma le prime repubbliche mercantili della storia, antenate del c.d. capitalismo moderno. Dovrebbe ricredersi Max Weber, che attribuì esclusivamente all’etica protestante, soprattutto calvinista, la capacità di generare l’economia di mercato.
Il rapporto di causa-effetto non ha ragion d’essere, posto che le comunità mercantili ebbero vita ben prima della Riforma luterana-calvinista, come ampiamente documentato dalla moderna storiografia. C’è solo da sottolineare una differente concezione del profitto economico nei due sistemi etici. Nella dottrina protestante, assume il ruolo di indice della benevolenza di Dio nei confronti dell’homo faber, cosicché tende a divenire fine a sé stesso. Nell’etica cattolica, il profitto economico è sempre strumentale, ponendosi a servizio del benessere e della giustizia sociale.
Al di là di questa differenza, c’è la base cristiana comune; da cui consegue che l’etica cattolica non può essere ritenuta contraria al libero mercato, se la sorella protestante è la madre del “capitalismo”. Invero la supposta antinomia si rivela piena sintonia, in considerazione di quattro punti nodali.
I quattro punti nodali
1 – Il libero arbitrio dell’uomo è il postulato di fondo del cristianesimo, senza il quale non si può pensare alle pene dell’Inferno e alle letizie del Paradiso. Esso non coinvolge solo il discernimento del bene e del male nell’intima sfera della persona, ma si proietta nelle relazioni sociali; in primo luogo, nella cooperazione economica di mercato.
2 – La dottrina del diritto naturale antepone la persona e la società all’autorità politica. Il diritto non nasce dalle deliberazioni politiche, ma è il dono di Dio a corredo della dignità originaria della persona, riconosciuta nel consesso sociale. Ciò presuppone la libera dinamica delle relazioni sociali; in primo luogo di quelle relative alla cooperazione economica, volta a soddisfare i bisogni primari dell’esistenza.
3 – Il principio di sussidiarietà, alla base della Dottrina Sociale della Chiesa, assegna allo Stato il compito suppletivo di intervenire nei campi nei quali la libera iniziativa dei privati, delle associazioni volontarie e dei corpi intermedi non si rivela idonea e sufficiente. Dunque la funzione sussidiaria della res publica postula una primaria res privata, che si attiva nelle relazioni sociali, a partire da quelle economiche di mercato.
4 – Il principio, caro alla DSC, della destinazione universale dei beni si concilia col diritto naturale di proprietà privata, solo attraverso il meccanismo di mercato.
La pianificazione di Stato non può “universalizzare” alcunché, perché nasce da un atto potestativo. L’autorità politica non incontra alcun antagonista, posto in posizione paritaria, con il quale sia costretto a dividere vantaggi e svantaggi. I suoi atti sono necessariamente selettivi; danno agli uni e sottraggono agli altri. Al contrario, l’operatore di mercato deve rinunciare a qualcosa, condividendo i suoi vantaggi con l’antagonista di mercato. Il sinallagma contrattuale, alla base della relazione economica, assicura la reciprocità dei benefici. È questa l’unica possibilità che i beni della terra vengano utilizzati a vantaggio di tutti.In conclusione, il luogo comune della contrapposizione cattolicesimo-liberalismo si rivela fragile e inconsistente, sia per fatti storici, sia per le premesse dottrinali.
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