Il lavoro tra cuore e ferrovia spezzata. Due storie opposte
Due città, due destini, due modi opposti di intendere il lavoro e la sua dignità. A Bologna, un ragazzo di 25 anni, piegato a letto da un incidente che gli ha spezzato la schiena, scopre di avere un futuro grazie al gesto inatteso del suo datore di lavoro. A Mira, lungo la Riviera del Brenta, un macchinista delle ferrovie di mezza età scopre che invece il suo futuro si è interrotto bruscamente, cancellato da una lettera di licenziamento arrivata dopo un test antidroga. Sono due storie parallele che raccontano l’Italia del lavoro di oggi: da una parte la solidarietà che tiene in piedi un giovane colpito dal destino, dall’altra la tolleranza zero imposta da un mestiere dove un errore può costare centinaia di vite.
Bologna, la mano tesa
Il protagonista si chiama Leonardo Fanali, 25 anni, dipendente della catena di focaccerie All’Antico Vinaio. Lo scorso luglio, nel suo primo giorno di ferie, viaggiava sul sedile del passeggero di un’auto che, dopo una sbandata, si è cappottata più volte. Leonardo si è ritrovato incastrato, con la schiena piegata sul montante dell’abitacolo, ferito al cranio, al torace, con fratture ovunque. Una scena che lui stesso, con ironia amara, ha definito “da film di Vin Diesel”. In ospedale i medici non sapevano se intervenire subito o attendere. Una giovane chirurga, di passaggio prima delle ferie, ha letto i suoi dati e deciso: “Operatelo adesso”. Una scelta che probabilmente gli ha salvato la vita, perché poche ore dopo sarebbe caduto in coma per un ematoma cerebrale. Oggi Leonardo vive bloccato in un letto, la testa e la colonna immobilizzate da un tutore, il dolore come compagno quotidiano. Ma quando tutto sembrava perso, è arrivata una notizia che ha cambiato il suo orizzonte. Tommaso Mazzanti, 36 anni, proprietario e anima di All’Antico Vinaio, ha deciso di trasformare il suo contratto interinale in un posto fisso. Nonostante l’impossibilità di lavorare, l’imprenditore gli ha dato una certezza economica e psicologica: “Finché non sarai guarito, questo lavoro sarà qui ad aspettarti”. Leonardo si è commosso. “Pensavo di dover chiedere un sussidio, invece lui mi ha ridato dignità”. Non era scontato: il ragazzo lo aveva avvisato con un messaggio su Instagram, senza aspettarsi risposta. Mazzanti, che ha fatto del brand fiorentino un colosso da 75 milioni di fatturato e 600 dipendenti in tutto il mondo, con margini di ulteriore crescita grazie alla sua capacità visionaria, ha scelto di non commentare. Per lui il gesto parlava da solo. Ogni parola sarebbe stata in più. Da sempre è abituato a parlare con i fatti. Un atto di umanità aziendale raro, in tempi in cui i contratti si consumano come fogli di carta e il rapporto tra impresa e lavoratore sembra ridotto a numeri e margini di bilancio.
Mira, il licenziamento
Dall’Emilia al Veneto. Un’altra vicenda racconta il lato opposto del lavoro. Un macchinista veneziano di 44 anni, con quasi vent’anni di esperienza, è stato trovato positivo alla cocaina durante un controllo a campione. Non una traccia marginale, ma un risultato netto, confermato dalle analisi di secondo livello. Per lui non c’è stata via di scampo. L’azienda ferroviaria lo ha sospeso immediatamente e poi licenziato per giusta causa: “Uso abituale di sostanze stupefacenti incompatibile con la mansione”. L’uomo, con onestà, ha ammesso: “Non cerco alibi. Ho sbagliato. Credevo di resistere alla stanchezza, ai turni notturni, al peso di una vita che non dava tregua. Ho cominciato per tirare, poi la cocaina è diventata un vizio. Non pensavo ai passeggeri che portavo con me. Oggi mi vergogno solo a dirlo”. Il licenziamento è stato immediato e senza appello. I sindacati hanno chiesto una sospensione e un percorso di recupero che potesse portare a un reintegro, ma l’azienda ha risposto con fermezza: “Non possiamo permetterci neanche il sospetto che un macchinista non sia lucido al cento per cento. La sicurezza viene prima di tutto”. Oggi l’ex macchinista vive in una comunità terapeutica a Mira, seguito da psicologi e medici. “Forse non guiderò mai più un treno – dice – ma non voglio che a guidarmi sia la polvere. Voglio riconquistare la mia dignità”.
Due Italie, una domanda
Le due storie, messe una accanto all’altra, sembrano provenire da mondi diversi. Bologna mostra un imprenditore che fa prevalere il lato umano sull’utile. Mira ricorda che esistono mestieri dove non c’è margine per la compassione, perché un singolo errore può trasformarsi in tragedia collettiva. Eppure entrambe toccano la stessa questione: che cosa significa oggi lavoro in Italia? È solo un contratto, una retribuzione, un dovere da rispettare, o è anche un legame sociale, un pezzo di vita che va oltre i bilanci e gli errori? Leonardo Fanali, con il suo tutore e la speranza di tornare a servire focacce, racconta l’Italia della cura reciproca, in cui il datore di lavoro diventa anche compagno di strada. Il macchinista, con la sua caduta e la sua lotta per disintossicarsi, mostra invece l’Italia del rigore, che non concede seconde possibilità. Due storie di lavoro: la speranza umana e la giustizia disciplinare.
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