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Caos all’Olimpico: la conferenza di Baroni finisce in rissa verbale tra giornalisti

di Francesco Caselli -


La polemica di questa settimana ha poco più di 48ore sulle spalle, scaturita nel pomeriggio di sabato scorso. La serata dell’Olimpico si è conclusa non con il fischio finale di Lazio–Torino, ma con una scena da dimenticare. O, forse, da ricordare molto bene. La classica conferenza stampa post-partita trasformata in un ring verbale, con Marco Baroni, allenatore del Torino ed ex dei biancocelesti, al centro di una tempesta mediatica. Tensione alle stelle, accuse reciproche e un clima che definire tossico sarebbe riduttivo.

“Ridere mentre si parla di calcio è vergognoso”

Un incendio scoppiato all’improvviso. Mentre Baroni rispondeva alle domande sulla prestazione del suo Torino, un giornalista ha riso – forse per sarcasmo, forse per leggerezza. Ma il tecnico granata non ha lasciato correre e ha voluto fortemente sottolineare l’episodio:

“Scusatemi, ma vedere qualcuno ridere mentre si parla di calcio non è rispettoso. Così mancate di rispetto a me, ai colleghi e alla categoria”.

Una frase che ha fatto precipitare la situazione, rendendo il tono subito ostile. Alcuni cronisti si sono affrontati verbalmente, fino a sfiorare lo scontro fisico. A riportare un minimo di ordine, gli steward, accorsi per evitare il peggio.
Parole dure, ma pronunciate con convinzione. La domanda però è legittima: una risata – per quanto fuori luogo – giustifica una tale esplosione? O forse il tecnico ha solo colto il pretesto per sfogare la delusione di un pareggio amaro?

Equilibri saltati

Il momento che ha fatto saltare ogni equilibrio all’interno del match arriva sul 2-2, quando l’arbitro Piccinini assegna quattro minuti di recupero. Al secondo di questi, il Torino trova quello che sembra il colpo del KO: Coco svetta di testa su un cross preciso e firma il 2-3, un gol convalidato dopo un rapido check del VAR. È qui che inizia il caos. La Lazio non si arrende, e pochi secondi dopo la ripresa del gioco, Noslin entra in area e viene atterrato proprio da Coco. L’arbitro lascia correre inizialmente, ma le proteste dei biancocelesti sono furiose, tanto da generare un principio di rissa tra i giocatori in campo. Il direttore di gara viene infine richiamato al monitor per un nuovo check. Passano minuti di confusione, tensione e attesa. Poi la decisione: rigore per la Lazio.

Sul dischetto va il capitano Danilo Cataldi, che con freddezza firma il 3-3. Ma il dettaglio che fa discutere è l’orologio: il gol arriva al minuto 103. E subito dopo, senza riprendere il gioco, Piccinini fischia la fine.

Cosa è accettabile davvero?

Da una parte, è umano che un allenatore – già messo in discussione dalla società, sotto osservazione per i risultati – reagisca in modo istintivo dopo una gara frustrante. Soprattutto se sente di non essere preso sul serio, mentre cerca di difendere il lavoro del suo gruppo.

Dall’altra parte, però, la sala stampa non è uno sfogatoio. Non può diventare un tribunale o un luogo dove si regola il conto con la stampa. Anche sotto stress, il rispetto va mantenuto, da entrambe le parti. La professionalità non può saltare per aria ogni volta che qualcosa va storto.

Un sistema complicato

In tutto questo, il punto critico non è solo Baroni. È il sistema. Un calcio dove gli arbitri decidono  senza una linea chiara, senza una piena autorevolezza.

La classe arbitrale italiana, da anni nel mirino, continua a mostrarsi insicura, altalenante, spesso impreparata alla pressione. Il VAR, nato per fare chiarezza, è diventato lo strumento del dubbio perenne. E i tecnici, ogni settimana, si sentono ostaggi di decisioni che cambiano l’esito delle partite con criteri invisibili. In questo clima, come si può pretendere lucidità assoluta?

Meno prediche e più credibilità

La rabbia di Baroni è figlia di un clima esasperato, all’interno del quale l’arbitraggio si trasforma in un vero e proprio enigma regolamentare. In campo regna l’incertezza, fuori, la comunicazione tra allenatori e stampa si trasforma sempre più spesso in un campo di battaglia. Il VAR, nato per portare trasparenza, oggi alimenta dubbi e polemiche, lasciando spazio a interpretazioni soggettive e decisioni incoerenti. Le decisioni arbitrali sembrano ormai capaci di stravolgere l’esito delle gare, generando frustrazione e sfiducia. In questo contesto, il rispetto tra le parti si perde facilmente, soffocato da tensioni crescenti e proteste continue. Quando il gioco perde credibilità in campo, il caos fuori non è più una sorpresa: è solo la naturale conseguenza di un sistema che non regge più la pressione.


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