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Politica

Meloni cede il Veneto a Stefani e “salva” la Lega. FdI perde peso ma blinda il Paese

di Ivano Tolettini -


C’è voluta un’estenuante trattativa e un filo diretto costante tra Palazzo Chigi e via Bellerio, ma alla fine il dado è tratto: Alberto Stefani sarà il candidato del centrodestra alla presidenza del Veneto. Una soluzione di compromesso che salva l’unità della coalizione, ridimensiona l’ambizione territoriale di Fratelli d’Italia, e soprattutto mette in sicurezza gli equilibri nazionali del governo. Meloni, che nei sondaggi personali continua a veleggiare oltre il 40% di gradimento, ha scelto di concedere alla Lega la casella simbolica della sua roccaforte storica.

Fatto per una ragione precisa:

Evitare un effetto domino che, dal Veneto, avrebbe potuto condizionare la Lombardia e lacerare la coalizione. Concedere la bandiera a Salvini, in cambio del controllo della cabina nazionale, è la vera partita politica giocata da Giorgia Meloni. Il prezzo è chiaro: FdI rinuncia al governatore ma conquista il governo. Cinque assessorati su dieci – sanità, sociale, infrastrutture, lavoro e bilancio – e la presidenza del Consiglio regionale. Un riequilibrio che segna la fine dello “Zaiastan”, l’era del leader unico e incontrastato, e apre una stagione di collegialità forzata, dove le decisioni passeranno per il tavolo della coalizione.

Alberto Stefani

Stefani vista l’età, 32 anni, sarà un presidente più politico che carismatico, ma proprio per questo funzionale a una maggioranza che vuole tornare alla concertazione e non al plebiscito. Meloni, dal canto suo, sa bene che il prezzo in termini elettorali sarà alto. Fratelli d’Italia, che alle Europee ha toccato il 37%, nel nuovo equilibrio potrebbe perdere fino a 14 punti, attestandosi sotto il 25%. La Lega, oggi intorno al 14%, potrà contare sull’effetto Zaia capolista, che vale almeno altri 6-8 punti percentuali, più una lista “Stefani Presidente” in grado di drenare consenso civico. Il risultato è che il Carroccio, pur ridimensionato a livello nazionale, in Veneto potrà tornare abbondantemente sopra il 20%. E questo, per Salvini, vale come una tregua interna.
Se la Lega avesse perso anche il Veneto, la leadership di Salvini sarebbe tornata in discussione. Così, invece, il segretario può rivendicare la continuità con il modello Zaia, la difesa della sua “casa madre” e un segnale di forza verso il Nord produttivo. Meloni ha scelto di salvargli la faccia e, al tempo stesso, di presidiare i gangli del potere nazionale: un’operazione di chirurgia politica che rafforza Palazzo Chigi più di quanto indebolisca FdI. Ma c’è un rovescio. Con il Veneto a Stefani e la Lombardia ancora salviniana, FdI resterà senza governatori al Nord per diversi anni. È un’anomalia senza precedenti per il partito di maggioranza relativa, che rischia di pagare un prezzo di rappresentanza nei territori più produttivi del Paese. Nelle sezioni venete e lombarde del partito, più d’uno mugugna: l’egemonia nazionale, dicono, non può convivere a lungo con la subalternità regionale.

Eppure, per Meloni, il calcolo è strategico

Tenere unito il centrodestra oggi significa blindare il governo fino alle politiche del 2027, quando si riaprirà la partita lombarda del ’28. Lì, se il vento non sarà cambiato, FdI potrà rivendicare la sua rivincita, magari con un nome di peso come Carlo Fidanza. Fino ad allora, la premier ha scelto la via dell’equilibrio e della stabilità.


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