Massimo Mota (AGCI): “La cooperativa la risposta alla rassegnazione. Serve tornare a credere nel fare insieme”
“La cooperativa deve essere la risposta alla rassegnazione, dobbiamo tornare a credere nel fare insieme”. È una visione che intreccia radici e futuro quella di Massimo Mota, nuovo presidente nazionale dell’AGCI (Associazione Generale Cooperative Italiane), eletto lo scorso maggio durante il XXVI Congresso dell’associazione. Un nuovo mandato fondato su partecipazione, solidarietà, innovazione e rappresentanza, con l’obiettivo di rilanciare la cooperazione come strumento concreto di inclusione e sviluppo, capace di leggere i cambiamenti della società e di rispondere ai nuovi bisogni delle persone.
Presidente, sono passati alcuni mesi dal suo insediamento. Può tracciare un primo bilancio e dirci quali sono le priorità del suo mandato?
“L’AGCI non è grande come Confcooperative o Legacoop, almeno nei numeri, ma conta circa 4.000 cooperative vivaci e presenti su tutto il territorio. Ho trovato dirigenti competenti, motivati, con tanta voglia di fare: il nostro compito è valorizzare queste energie e creare le condizioni per dare risposte concrete ai bisogni del Paese. Fin da subito ho colto ottimi spunti di lavoro, ma serve un dialogo vero con le istituzioni, soprattutto con il governo. Viviamo un momento in cui vanno affrontati insieme problemi nuovi e antichi: dal welfare alla casa, dal lavoro alla coesione sociale. La cooperazione, in fondo, è nata proprio per questo”.
Quali possono essere i settori più promettenti per la crescita cooperativa?
“Gli ambiti tradizionali restano fondamentali — penso all’agroalimentare, dove la cooperazione non solo compete sul mercato, ma valorizza i territori. Negli ultimi anni, però, è cresciuto molto anche il settore sociale, che oggi rappresenta un pilastro del nostro welfare. Tuttavia, la redditività è troppo bassa. Le cooperative sociali gestiscono servizi essenziali ma con margini minimi, spesso compromessi da ritardi nei pagamenti pubblici o da gare al ribasso. Serve un dialogo costruttivo per riconoscere la professionalità e il valore di queste imprese. La cooperazione può crescere ampliando i propri orizzonti, lavorando di più sul sociosanitario e su settori oggi “di confine”, dove aumenta la domanda di servizi. Importante anche il ruolo nei territori fragili: molte cooperative operano già per rigenerarli e contrastarne lo spopolamento. Guardiamo inoltre con interesse all’iniziativa del CNEL sul recupero dei detenuti attraverso il lavoro: un ambito dove la cooperazione può fare moltissimo”.
La cooperazione, quindi, trova spazio proprio dove ci sono fragilità?
“Sì, è la nostra natura. La cooperazione nasce per intervenire dove c’è crisi o debolezza sociale, non per speculare. In questi anni abbiamo contribuito molto alla qualità della vita nelle comunità. Oggi, però, dobbiamo fare i conti con una società sempre più frammentata. L’isolamento cresce e contrastarlo con le sole forze del movimento cooperativo non basta. Serve un dialogo ampio con le istituzioni, non solo di ascolto ma di azione. E noi siamo pronti a fare la nostra parte”.
Si parla spesso di “denatalità cooperativa”: nascono sempre meno cooperative. Come invertire questa tendenza?
“Bisogna cambiare paradigma. Un tempo le cooperative nascevano da una forte partecipazione sociale: la piazza, il bar, la parrocchia, i partiti, i luoghi in cui la gente si incontrava, discuteva e costruiva fiducia. Da quei legami nasceva la cooperativa, la “torta” fatta di ingredienti condivisi. Oggi questi spazi di socialità sono quasi scomparsi. La società è più individualista e mancano le leadership di riferimento. Si scelgono forme giuridiche più semplici, come le società di capitali, ma in esse manca un principio fondamentale: la convinzione che ’il mio bene è anche il tuo bene’. Nella cooperazione questo principio viene prima di tutto”.
E per rendere la cooperazione più attrattiva per i giovani?
“Credo che sarà possibile se sapremo parlare ai loro desideri. I giovani cercano senso, vogliono dare valore alle cose che fanno, e questo è possibile soprattutto in una cooperativa. Purtroppo, spesso le loro ambizioni si scontrano con una società poco inclusiva, dominata da grandi organizzazioni economiche che lasciano poco spazio all’iniziativa. La cooperativa deve essere la risposta alla rassegnazione: è un modo concreto per non arrendersi. Dobbiamo però aggiornare i nostri strumenti, renderli più semplici e accessibili, inventare modelli nuovi che incoraggino la partecipazione. Solo così potremo coinvolgere nuove energie”.
Che cosa si augura per i prossimi anni di mandato?
“Mi auguro di riuscire a tradurre queste idee in azioni concrete. Ho tracciato obiettivi ambiziosi e so che da solo non ce la farò: serve un lavoro comune tra tutte le centrali cooperative. Se riusciremo a muoverci insieme, anche solo di un passo, sarà già un grande risultato”.
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