Emmanuel Macron si è trincerato nel silenzio per qualche ora. Il presidente francese ha riscritto il codice dei governi balneari all’italiana, aggiungendo le pezze al sedere come dress code. L’ex pupillo di Jacques Attali è riuscito a stabilire anche un altro record con le sue recenti prodezze: il differenziale tra i titoli di Stato a dieci anni di Italia e Francia prima si è annullato e poi è diventato addirittura positivo per il “Belpaese”. Attualmente investire a Roma è più sicuro che farlo a Parigi. La sintesi delle ultime macronerie assomiglia a un rompicapo. Il non più fortunato Emmanuel ha nominato Lecornu, poi ha accettato le sue dimissioni, e infine lo ha rimesso in pista nonostante il rifiuto generale. L’inquilino dell’Eliseo ha innescato un cortocircuito politico di vastissime dimensioni. Come spesso accade ai Lecornu di turno, non solo i francesi, ma anche i partiti, compresi quelli macronisti e i Républicains, si sono messi di traverso. Amici e nemici sono diventati un blocco solo.
L’avvertimento di Marine Le Pen a Macron
Marine Le Pen ha dichiarato che bloccherà qualsiasi azione da parte di un nuovo governo. “Voto contro tutto”, ha affermato la candidata alla presidenza francese per tre volte, rinnovando l’appello a Macron affinché “consideri seriamente” lo scioglimento del Parlamento e la convocazione di elezioni anticipate, o “anche le sue dimissioni”.
Buco nell’acqua de la France Insoumise. La mozione per la destituzione del presidente della Repubblica, presentata all’Assemblea nazionale dai suoi deputati, è stata dichiarata irricevibile dalla Commissione legislativa della Camera.
Cosa dice la legge
La legge francese, è opportuno ricordarlo, non richiede o impone in alcun modo le dimissioni al presidente, il cui mandato scade nel 2027. La paralisi del sistema presidenziale francese, però, è evidente. La figura di Emmanuel Macron è macchiata da una lunga serie di fallimenti. Dopo le elezioni parlamentari del 2024 e l’ulteriore frammentazione dell’Assemblea nazionale in tre o quattro macro-blocchi, la maggioranza a sostegno del presidente francese è venuta sistematicamente meno. L’instabilità si è cronicizzata. Macron si è dimostrato inadatto come esecutore e poco credibile come arbitro.
Le possibili prospettive per il futuro dopo Lecornu
Se l’impasse dovesse persistere, come pare, l’unica strada percorribile sarebbe quella dello scioglimento dell’Assemblea nazionale con il conseguente ritorno dei francesi alle urne. Legalmente è possibile, poiché viene rispettato il periodo minimo previsto dalla Costituzione per ricorrere al voto, visto e considerato che le ultime elezioni legislative si sono svolte a giugno e luglio del 2024.
I sondaggi mostrano un crollo del blocco macronista. Cresce di poco la sinistra. I socialisti sperano di passare da 66 a 100 deputati, ma non basta per governare. Un allargamento da quel lato appare poco praticabile. Sull’altro fronte, senza un’alleanza tra il centro e la destra, il Paese rischierebbe un nuovo stallo istituzionale. Al momento, appare più probabile una vittoria dell’estrema destra, anche perché la diga del “Fronte repubblicano” che nel 2024 aveva frenato Le Pen potrebbe non reggere più. Un Rassemblement national con maggioranza relativa aprirebbe scenari. Non si può escludere, infatti, il sostegno di diversi parlamentari dei Républicains a un governo guidato da Jordan Bardella. Una parte della destra tradizionale potrebbe varcare il Rubicone per poi passare all’incasso: un candidato suo alle presidenziali del 2027.
I sistemi elettorali vigenti
Per comprendere i “giochi” transalpini, occorre tenere presenti i due sistemi elettorali vigenti. La camera bassa è composta da 557 membri e, insieme al Senato, è uno dei due rami del Parlamento francese. In Francia si vota con un sistema elettorale uninominale maggioritario a doppio turno. Viene eletto un solo candidato per ognuna delle circoscrizioni.
La Francia è una Repubblica semi-presidenziale in cui il potere esecutivo è condiviso dal presidente della Repubblica e dal primo ministro. Il presidente viene eletto a suffragio universale diretto a doppio turno. Per spuntarla in prima battuta serve la maggioranza assoluta dei voti. Se nessuno dei candidati riesce ad ottenerla, vanno al ballottaggio i due che al primo turno hanno ricevuto il maggior numero di consensi.