Quando la sinistra getta la spugna: il caso PD
Il PD di Schlein parla di diritti e ambiente ma rinuncia al governo. Una scelta di principio o una strategia per lasciare spazio ad altri?
Il Partito Democratico non vuole più vincere. È questa la sensazione che si prova guardandolo oggi: un partito che si accontenta di esserci, di dire la sua, di prendere posizione, ma non di prendersi la responsabilità di governare.
Un tempo il PD era la casa di chi voleva cambiare le cose. Oggi è diventato il rifugio di chi vuole solo dire di avere ragione. È la differenza tra chi lotta per il potere per realizzare un’idea e chi si limita a custodirla come un ricordo.
Con Elly Schlein è arrivata una ventata di novità, ma anche la resa definitiva. Il partito parla di temi importanti come diritti, ambiente e parità, ma lo fa come chi vuole segnare la distanza, non costruire un’alleanza. Si è trasformato in una voce di coscienza, non in una forza di governo.
Un partito che non parla più al Paese
Il PD non parla più al Paese, parla a sé stesso. Ogni dichiarazione è una prova di fedeltà, ogni sfumatura un sospetto di tradimento. Intanto la destra governa indisturbata e il PD sembra quasi sollevato: tanto, “noi siamo diversi”.
Ma la diversità, da sola, non cambia nulla. Se non diventa proposta concreta, resta testimonianza. E la testimonianza, in politica, serve solo a chi non deve decidere niente.
L’identità come gabbia
Schlein ha dato un volto nuovo a un partito vecchio dentro. La ricerca ossessiva dell’identità ha divorato la vocazione a governare. È come se il PD avesse paura del potere: lo considera sporco, compromesso, pericoloso.
Ma senza il potere le idee restano parole, e le parole non spostano la realtà di un millimetro.
Le grandi culture politiche che lo avevano fondato, cattolica, socialista e liberaldemocratica, sono evaporate. Nessuno più parla di visione, di lavoro, di crescita. Si rincorrono slogan, si commentano le notizie, si twitta indignazione. Un tempo il PD formava classi dirigenti, oggi produce personaggi.
E qui arriva la domanda che nessuno osa fare: è tutto frutto del caso o qualcuno ha deciso che andasse così?
Da anni si prova a costruire una forza riformista più centrata, più responsabile, più presentabile. Forse svuotare il PD serve proprio a lasciare spazio a questa nuova creatura.
Una sinistra debole fa comodo a molti: non disturba, non minaccia, non alterna. Lascia la scena a chi governa già.
Crisi PD: il vero problema
Il vero problema però non è solo del PD. È del Paese.
Quando un partito grande smette di voler vincere, si rompe l’equilibrio democratico. Restano i governi forti e le opposizioni decorative. E in mezzo, un popolo sempre più rassegnato.
Il PD nacque per unire e cambiare. Oggi sopravvive per testimoniare e distinguersi. È diventato un partito che guarda allo specchio e si compiace della propria coerenza, mentre tutto intorno cambia. Ma la coerenza senza coraggio non è virtù: è paralisi.
Accartocciato su sé stesso, il PD continua a discutere di chi è “più di sinistra”, invece di chiedersi come tornare a contare. Un partito che rinuncia a vincere non perde soltanto il potere: perde la propria ragione d’esistere.
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