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Attualità

Zaccaria Mouhib e Paolo Taormina: due casi a confronto

di Priscilla Rucco -


Zaccaria Mouhib conosciuto come “Baby Gang”, non uscirà dal carcere. Il giudice ha confermato la custodia cautelare: troppo alto il rischio di reiterazione del reato, troppo pericoloso il messaggio che il suo rilascio trasmetterebbe a migliaia di giovani che lo seguono, lo imitano, lo mitizzano. L’icona del disagio vestita da trapper, oggi, è un uomo detenuto.

Armi, contanti, bande giovanili al suo fianco:

Non è un videoclip, è cronaca, ma soprattutto è realtà. E rappresenta molto più di un singolo caso giudiziario. Il suo arresto non è stato un colpo di scena: il 24enne, trapper da milioni di visualizzazioni su YouTube, da sempre incarna un malessere estetizzato, idolatrato, ma soprattutto monetizzato. Arrestato a Lecco a fine settembre, Zaccaria, che si sarebbe attorniato di complici – molti dei quali minorenni -, è stato trovato in possesso di tre pistole, e di migliaia di euro in contanti.

Non un errore, ma la conferma di un’escalation preannunciata e mai fermata

Non ci sono attenuanti per chi incarna la violenza come scelta estetica e di vita divulgandola come normalità. Perché dietro di lui c’è una moltitudine di ragazzini che lo guardano, lo imitano, ma soprattutto lo seguono. La sua musica parla di gang, di armi da fuoco, di droga e vendetta. Ma fuori dai videoclip, la gente muore. Per davvero. Come nel caso di Paolo Taormina di 21 anni, ucciso con un colpo di pistola alla testa a Palermo, al termine di una lite fuori da un pub “O scrusciu”. Secondo i testimoni, Paolo stava lavorando nel locale di famiglia. Resosi conto che un gruppo di ragazzi si stava accanendo su un giovane, sarebbe intervenuto per difenderlo, perdendo così la vita. L’assassino di Taormina sarebbe un 28enne, Gaetano Maranzano. Fermato poco dopo, che avrebbe confessato il delitto agli inquirenti, dichiarando di aver “perso il controllo”. L’ennesimo caso di violenza sfociato in tragedia. Il magistrato Valerio de Gioia, in un’intervista recente, avrebbe dichiarato: “Stiamo assistendo a una degenerazione precoce: ragazzi che usano armi da adulti e non distinguono più il reale dal virtuale”.

Questo è il frutto acerbo del vuoto

Dell’ignoranza, di adulti e genitori troppo distratti, delle Istituzioni talvolta assenti e di modelli pericolosi lasciati proliferare liberamente. Quando va bene, i ragazzini finiscono davanti a un giudice minorile invece che a scuola. Quando va male, muoiono. Più di 7.200 episodi nei primi nove mesi dell’anno: rapine, spaccio, pestaggi di gruppo. Una violenza sempre più normalizzata, spesso sottovalutata o non riconosciuta. Il volto della criminalità si fa sempre più giovane, spavaldo e aggressivo. Omicidi, rapine, violenze sessuali di gruppo: la cronaca degli ultimi mesi è un bollettino da zona di guerra urbana. E il problema non riguarda solo le periferie di Napoli o Milano: coinvolge grandi e piccoli centri, dal Nord al Sud, e attraversa ogni classe sociale, indistintamente e troppo rapidamente.

Il Viminale ha risposto con forza

In una sola operazione straordinaria, nelle scorse settimane, sono stati effettuati oltre 62 mila controlli in 20 giorni, 829 immobili passati al setaccio, 36 armi da fuoco sequestrate, 800 persone denunciate, tra cui decine di minorenni. Per molti è repressione. Necessaria, forse, ma non risolutiva. E, soprattutto, arriva sempre all’indomani delle tragedie.


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