La Toscana ha votato, ma destra e sinistra in crisi di significato
Dalla Toscana ritorna una necessaria riflessione sulla devastante crisi della politica. Una lezione che vale per tutti come rivela la eloquente crescita della percentuale di astenuti (circa dieci punti) a conferma di come la democrazia sia ridotta a pratica circense, a gioco di società, a rumore di minoranze.
Il giudizio non cambia anche per la Toscana, regione che conserva uno storico insediamento riformatore che ha fatto registrare in ogni caso, un risultato promettente per il campo largo pur se ancora lontano da numeri stabili e consolidati. Tuttavia, piuttosto che limitarsi a far il conto dei decimali che oggi favoriscono la sinistra, la osservazione non potrebbe ignorare che ha votato poco più di un elettore su tre.
Una condizione che riflette la precarietà della politica, lontana dal circuito civile, ridotta a duelli individuali fra cavalieri erranti e a contese fra apparati di potere. Tutto ciò (direbbe il Censis delle metafore) in una “società dello scarto e delle tribù”. Tribale pare infatti la frantumazione della rappresentanza, effetto di un sistema elettorale con liste amministrate da ristrette nomenclature. Il prodotto di una inesorabile dissipazione, della caduta dei Soli dell’Avvenire, delle grandi tradizioni politiche e del declino delle culture che coltivavano insieme senso storico e immaginazione.
Una condizione della politica quindi che si trascina senza trovare risposte, se non nel rifugio dell’effettività del gesto, dell’urlo, della violenza come lingua primordiale. Ci si chiede, come si spieghino le piazze pro-PAL con le anemie della partecipazione al voto, se non con la povertà “convenzionale e stentorea” del discorso pubblico. Quale fascino potrebbe mai suscitare sul sessanta per cento che diserta le urne la divaricazione fra la politica di palazzo e quella di strada? Qui si scoprono tutte le ragioni della “disaffezione”: se governare significa comandare e opporsi significa urlare, come essenza sintetica del dibattito.
Siamo privi di quella che Leopardi chiamava una vera “conversazione” civile. Quella che ferveva quando la “grande educazione” si formava nei partiti e nelle grandi agenzie di morale e di pensiero. Siamo posti di fronte ad una emergenza, alla urgenza di un progetto ricostruttivo che vada molto oltre la disputa fra sigle, correnti, spezzoni, zattere sperdute nel mare della insignificanza. Questo il male assoluto o, per sdrammatizzare, la infelice leggerezza del “non” essere di fronte alle domande di senso e di prospettiva. Istanze che salgono dalla società che scende in piazza ma poi diserta i luoghi nei quali la opinione è chiamata a farsi valere. È un problema che riguarda destra e sinistra, entrambe in crisi di significato. Il tema riguarda tutti. Una politica senza pensiero è una armatura vuota, il “Cavaliere inesistente” di Italo Calvino, superbo speziale della parola come evento che fa la storia.
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