Gaza, Italia considera contributo dopo accordo di Sharm
Dopo l’accordo di Sharm el-Sheikh, l’Italia valuta un possibile contributo alla ricostruzione di Gaza con Carabinieri e Genio militare. Nessuna decisione è stata ancora presa.
epa12453507 Israeli tanks at a gathering site next to the Israeli Gaza border in southern Israel after they withdrew from the Gaza Strip following the Israel-Hamas agreement , 14 October 2025, EPA/ATEF SAFADI
Dopo Sharm, un fragile spiraglio di pace
Lo storico accordo raggiunto a Sharm el-Sheikh tra Israele e Palestina ha aperto un nuovo, fragile spiraglio di pace nella Striscia di Gaza. La tregua, frutto di intense mediazioni diplomatiche, mira a porre fine a mesi di bombardamenti e violenze che hanno devastato infrastrutture, ospedali e abitazioni civili.
In questo scenario, anche l’Italia guarda con attenzione agli sviluppi e valuta un possibile contributo alla fase di ricostruzione e stabilizzazione. L’ipotesi, ancora in fase di studio, prevederebbe l’impiego di Carabinieri e unità del Genio militare dell’Esercito in ruoli di supporto tecnico e logistico, non di combattimento.
Si tratterebbe, in ogni caso, di una missione civile-militare finalizzata alla ripresa dei servizi essenziali, alla rimozione delle macerie e alla messa in sicurezza delle aree più colpite.
Ipotesi sotto esame: la parola al Parlamento
Fonti di Governo sottolineano che, al momento, non è stata presa alcuna decisione ufficiale. Ogni eventuale missione richiederebbe la consultazione e l’autorizzazione del Parlamento, come previsto dalla legge per le operazioni internazionali.
Nel frattempo, al Ministero della Difesa e alla Farnesina si studiano diversi scenari: dalla partecipazione italiana in un contesto multilaterale guidato dalle Nazioni Unite o dall’Unione Europea, a un possibile contributo tecnico per la ricostruzione civile.
Il dibattito politico resta aperto. Da un lato, chi sostiene che l’Italia potrebbe giocare un ruolo costruttivo, rafforzando la propria posizione nel Mediterraneo e nei rapporti con i partner regionali. Dall’altro, chi teme che un coinvolgimento, anche solo logistico, possa esporre i nostri militari a rischi elevati in un contesto dove la tregua potrebbe rivelarsi precaria.
Dottori: “Mandare soldati a Gaza sarebbe un azzardo”
Tra gli esperti prevale la cautela. Germano Dottori, analista di geopolitica e consigliere scientifico di Limes invita a non sottovalutare la complessità dello scenario.
“Mandare soldati italiani a Gaza è un azzardo assoluto: meglio rimanerne alla larga. Specialmente se gli venisse affidato il compito di disarmare Hamas. Figurarsi. Io non ho dimenticato Mogadiscio”, afferma Dottori.
L’analista sottolinea come non ci siano pressioni dirette da parte degli alleati, ma piuttosto una scelta autonoma del governo italiano, motivata dal desiderio di giocare un ruolo più visibile nella regione.
“Da Oltreoceano non ci ordinano nulla in questo caso. Ci stiamo candidando noi, convinti di acquisire un ruolo che per statura e peso non abbiamo e non potremo mai assumere in una regione dove contano così tanto le armi e la propensione ad usarle in modo letale”, aggiunge Dottori.
Per l’Italia, la partita di Gaza rappresenta quindi un banco di prova diplomatico e politico. Contribuire alla stabilità e alla ricostruzione potrebbe rafforzare l’immagine del Paese come attore di pace, ma ogni passo dovrà essere ponderato con estrema cautela.
Il successo o il fallimento di questa eventuale iniziativa dipenderanno tanto dal contesto internazionale quanto dalla tenuta del fragile equilibrio nato dall’accordo di Sharm.
Prospettive e rischi per l’Italia
Un eventuale coinvolgimento dell’Italia nella ricostruzione di Gaza, pur con finalità civili, rappresenterebbe un atto di diplomazia attiva in un’area da sempre instabile e strategica per gli equilibri del Mediterraneo.
Da un lato, offrirebbe a Roma l’opportunità di riaffermare il proprio impegno per la pace e di rafforzare i rapporti con Israele e Palestina; dall’altro, comporterebbe rischi politici e di sicurezza, in un contesto dove la tregua potrebbe crollare rapidamente.
Per il governo italiano la sfida sarà trovare il giusto equilibrio tra ambizione internazionale e prudenza operativa, evitando di trasformare un gesto di solidarietà in un nuovo fronte di vulnerabilità.
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